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La conversione dei premi in welfare è più conveniente con l’incentivo aziendale

studi professionali
Passaggio da cash a servizi elimina vantaggi fiscali. L'azienda può compensare con un extra per il dipendente.

La legge di Bilancio 2024 (legge 213/2023, articolo 1, comma 18) ha confermato la riduzione dal 10% al 5% dell’aliquota dell’imposta sostitutiva applicabile ai premi di produttività erogati nel 2024, in base alla legge 208/2015. Secondo i dati forniti dal ministero del Lavoro, al 15 novembre 2023 erano 15.992 i contratti aziendali e territoriali attivi contenenti la previsione di premi di produttività, il 22,4% in più rispetto allo stesso periodo del 2022. Un aumento probabilmente incentivato dall’applicazione della tassazione agevolata nel 2023, che è stata confermata per il 2024.

L’imposta sostitutiva ridotta sarà applicabile su un importo massimo di premio pari a 3mila euro, unicamente a coloro che siano stati titolari di un reddito da lavoro dipendente non superiore a 80mila euro nel periodo d’imposta 2023.

Il mantenimento dell’aliquota al 5% renderà necessario, anche per quest’anno, come è stato per il 2023, valutare con maggiore attenzione la convenienza o meno dell’ eventuale conversione dei premi di risultato (soggetti al pagamento dell’imposta sostitutiva del 5% a carico del dipendente e al versamento dei contributi, sia per il datore, sia per il lavoratore) in beni e servizi di cui ai commi 2, 3 e 4 dell’articolo 51 del Tuir: il cosiddetto welfare aziendale (esente da tasse e contributi, sia per il datore, sia per il lavoratore).

Gli effetti della conversione

La conversione del premio in servizi i cui costi, per il lavoratore, rappresentino oneri detraibili o deducibili in sede di dichiarazione dei redditi, infatti, comporta per il lavoratore la perdita del diritto a beneficiare della relativa detrazione/deduzione e, di conseguenza, della quota di imposta afferente alla detrazione stessa (19%) o alla deduzione (aliquota marginale del contribuente) dal reddito (si veda l’infografica qui a fianco).

Ad esempio, il premio netto risultante in seguito alla conversione in welfare per pagare le rette universitarie dei figli, il cui costo rappresenterebbe un onere detraibile, com’è evidente da quanto emerge dai calcoli esposti negli esempi 3 e 4, implica che il premio in seguito alla conversione, al netto della perdita conseguente alla mancata detrazione d’imposta, sia inferiore al premio netto che sarebbe spettato in caso di erogazione in denaro.

Tale minor vantaggio per il lavoratore potrebbe essere compensato dalla rinuncia, da parte del datore di lavoro, a una quota del risparmio contributivo conseguito in virtù del fatto che il dipendente converte il premio in welfare: quota che potrebbe essere messa a disposizione del dipendente on top rispetto all’importo del premio convertito.

Nell’esempio 4 si può vedere come l’erogazione di un terzo del risparmio aziendale in favore del dipendente (100 euro su 300 di contributi risparmiati dall’azienda) consenta a quest’ultimo di disporre di un premio netto spendibile, al netto della perdita conseguente alla mancata detrazione d’imposta, maggiore di quello che avrebbe avuto in caso di erogazione in denaro.

Nel caso di conversione in un onere deducibile, invece, quale potrebbe essere, ad esempio, un versamento alla previdenza complementare, la perdita per il lavoratore sarebbe ancora più elevata – l’aliquota Irpef rispetto alla quale quantificare la deduzione spettante va, infatti, da un minimo del 23% a un massimo del 43% – e, di conseguenza, la conversione sarebbe ancor meno conveniente.

È evidente che al lavoratore, in mancanza di un contributo aziendale on top rispetto alla conversione, non conviene convertire il proprio premio di produttività in welfare per fruire di beni e servizi il cui costo potrebbe rappresentare un onere detraibile o deducibile.

COSTI E BENEFICI PER L’AZIENDA E PER GLI ADDETTI

Il rapporto con i fringe benefit

Per ovviare a questa situazione, in mancanza di un contributo aziendale on top, potrebbe rivelarsi utile l’innalzamento disposto dall’ultima legge di Bilancio (legge 213/2023, articolo 1, comma 16), per il periodo d’imposta 2024, del limite di non imponibilità fiscale e contributiva dei fringe benefit (articolo 51 del Tuir, comma 3, primo periodo) a mille euro per tutti i lavoratori, elevato a 2mila euro per coloro che hanno figli a carico. I beni e servizi previsti dal comma 3 – quasi sempre erogati ai lavoratori sotto forma di buoni/voucher come i buoni benzina, i buoni acquisto della grande distribuzione e così via – non rientrano, infatti, tra gli oneri detraibili o deducibili in sede di dichiarazione dei redditi e la loro fruizione come conseguenza della conversione del premio è dunque sempre vantaggiosa per il dipendente.

L’ingresso e la diffusione nel mercato di un numero sempre maggiore di player e applicazioni che consentono di usare i buoni acquisto in modo molto simile all’utilizzo di denaro, stanno rendendo ancora più appetibile la conversione dei premi in fringe benefit.

Il tetto per i fringe benefit

Sarà estremamente rilevante, anche per quest’anno, valutare con attenzione il valore totale di tutti i beni e i servizi erogati ai lavoratori nel periodo d’imposta, incluso quello dei voucher. Il superamento anche di un solo centesimo delle soglie sopra citate, comporta, infatti, la tassazione e l’assoggettamento a contribuzione dell’intero valore di tutti i beni e servizi erogati al lavoratore.

Fonte: Il Sole 24ORE

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