Il finanziamento dei soci ricade nell’ambito delle operazioni creditizie ed è quindi soggetto a particolari vincoli normativi, per evitare le ipotesi di abusiva raccolta di risparmio dal pubblico. Richiede inoltre una grande attenzione ai profili fiscali. Proprio in questo senso è intervenuta la Cassazione con l’ordinanza 27366/2023, ritenendo legittimo il finanziamento soci solo se risponde ai principi di buon governo societario e se rispetta le regole di forma richieste.
La normativa bancaria
Il tema del finanziamento dei soci va incrociato con il divieto di raccolta del risparmio tra il pubblico (articolo 11, Dlgs 385/1993, Tub) ai soggetti diversi dalle banche, sanzionato penalmente all’articolo 130. Con la delibera del 19 luglio 2005, il Cicr (Comitato interministeriale per il credito e il risparmio) – cui il comma 3, articolo 11, del Tub demanda di fissare limiti e criteri – stabilisce che «non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico quella effettuata: (…) presso soci, dipendenti o società del gruppo secondo le disposizioni della presente delibera; sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, mediante contratti dai quali risulti la natura di finanziamento» (comma 2, articolo 2).
L’articolo 6 dispone poi che: «Le società possono raccogliere risparmio presso soci, con modalità diverse dall’emissione di strumenti finanziari, purché tale facoltà sia prevista nello statuto» (comma 1). E che: «Le società diverse dalle cooperative possono effettuare la raccolta di cui al comma 1 esclusivamente presso i soci che detengano almeno il 2 per cento del capitale sociale risultante dall’ultimo bilancio approvato e siano iscritti nel libro soci da almeno tre mesi. Per le società di persone tali condizioni non sono richieste» (comma 2).
Una situazione critica si crea nelle società di capitali neocostituite, spesso necessitanti di finanziamenti soci, per le quali non sono però previste deroghe al periodo minimo di sussistenza del rapporto sociale (almeno 3 mesi). In tal caso i finanziamenti dei soci sembrano preclusi almeno fino all’approvazione del primo bilancio d’esercizio (Consiglio Notarile di Milano, massima 116 del 8 giugno 2010). Ma secondo l’opinione prevalente, questa conclusione contrasta con l’articolo 11 del Tub e sembra poter essere superata con una lettura sistematica delle norme del Tub e della delibera Cicr del 19 luglio 2005.
I rischi fiscali
L’ordinanza 27366/23 della Cassazione si incentra invece sulle conseguenze fiscali di un finanziamento soci non in linea con le regole del buon governo societario. La pronuncia origina da un ricorso a sostegno di un avviso di accertamento con cui erano individuati ricavi non dichiarati, in quanto contabilmente occultati da parte dei soci, che poi sarebbero stati immessi in società attraverso finanziamenti. Allineandosi alle Entrate, la Corte afferma che l’opponibilità del finanziamento soci al Fisco richiede la regolarità formale delle delibere assembleari e delle scritture contabili, in tempi coerenti con l’andamento finanziario del periodo: diversamente l’erogazione deve ritenersi reimmissione in azienda di utili occulti (Cassazione, 17322/2021). Secondo la Corte depone in tale senso l’articolo 2467 del Codice civile, che classifica come finanziamenti dei soci quelli in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui «risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento». In conclusione, la giustificazione dei finanziamenti non può fondarsi solo sulla loro necessità e opportunità, ma quantomeno su elementi, anche indiziari, provati dal contribuente, atti a dimostrare la convenienza quale utile alternativa al credito bancario.
Diventa onere della società provare anche l’effettiva provenienza del denaro, con idonea documentazione per contrastare la valenza presuntiva degli elementi indiziari, ma di segno opposto, offerti dall’Agenzia.
La forma del finanziamento
Le parti possono scegliere di documentare l’erogazione secondo le modalità ritenute più idonee. Ma dalla forma contrattuale prescelta discendono specifiche conseguenze ai fini dell’imposta di registro, che risulta:
proporzionale (3%), in presenza di una scrittura privata (articolo 9 della Tariffa, Parte I, del Dpr 131/1986);
fissa (200 euro), solo in caso d’uso, se la concessione del finanziamento è prevista da uno scambio di corrispondenza tra il socio e la partecipata;
esclusa, se il finanziamento è stato perfezionato verbalmente (articolo 3, comma 1, Dpr 131/1986); con l’ulteriore conseguenza che la tassazione non sorge neppure in caso di enunciazione del finanziamento in un successivo verbale assembleare avente ad oggetto operazioni sul capitale.
Infatti, secondo il recente orientamento della Cassazione, l’enunciazione di un contratto verbale di finanziamento dei soci non comporta l’applicazione dell’imposta di registro del 3% qualora esso sia usato per la conversione in capitale sociale. Perché in questi casi il tratto distintivo è costituito dall’estinguersi degli effetti degli atti enunciati, venendo meno il finanziamento soci (Cassazione, sentenze 3839 e 3841/2023).
I CASI RISOLTI
LA SITUAZIONE
Conversone in capitale
Una Srl ha due soci con il 50% ciascuno del capitale sociale e che hanno versato un finanziamento di 50mila euro, regolato verbalmente. La società delibera un aumento di capitale da 10mila a 60mila euro, con conversione del finanziamento soci di 50mila euro. Si applica l’imposta di registro?
LA SOLUZIONE
Secondo la Cassazione non è dovuta l’imposta di registro proporzionale del 3% in quanto non permangono gli effetti del finanziamento soci, che in questo caso viene convertito in capitale (sentenze 3839 e 3841 dell’8 febbraio 2023).
LA SITUAZIONE
Regolazione per corrispondenza
Una Srl richiede ai soci, con una lettera a seguito di delibera del Cda, un finanziamento infruttifero a sostegno delle attività sociali. Il finanziamento viene concesso parimenti con lettera separata da parte dei soci. Si applica imposta di registro in misura fissa o proporzionale?
LA SOLUZIONE
In caso di finanziamento soci perfezionato per corrispondenza non si applica imposta di registro e non c’è obbligo di registrazione, in quanto l’operazione è esclusa, essendo regolata verbalmente (articolo 3, comma 1, del Dpr 131/1986).
LA SITUAZIONE
Neocostituite e attività sociali
Una Srl neocostituita richiede ai soci un finanziamento infruttifero a sostegno delle attività sociali. Il finanziamento viene concesso dai soci. Si sconfina in ipotesi di abusiva raccolta di risparmio, non essendo la società costituita da almeno tre mesi e non avendo ancora approvato il bilancio?
LA SOLUZIONE
La delibera Cicr del 19 luglio 2005 non prevede deroghe alle regole generali in caso di società neocostituite. Tuttavia si ritiene che tale ipotesi non leda la normativa bancaria, posta la sua finalità e considerato che si tratta di un prestito erogato in base a trattative personali e non con raccolta presso il pubblico.
LA SITUAZIONE
Finanziamenti fruttiferi
Una Srl richiede ai soci un finanziamento di tipo fruttifero offrendo un tasso di interesse del 5% a fronte di un vincolo temporale di cinque anni. Tale comportamento è legittimo per la società e quali conseguenze ha per i soci?
LA SOLUZIONE
I finanziamenti soci possono essere fruttiferi di interessi senza riferimenti o limiti da rispettare. Per i soci persone fisiche gli interessi sono redditi da capitale con ritenuta del 26%; per i soci che detengono la partecipazione in regime d’impresa sono proventi da inserire nel reddito d’impresa.
Fonte: Il Sole 24ORE