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I messaggi WhatsApp hanno le stesse garanzie costituzionali della corrispondenza tradizionale

La Corte di Cassazione (sentenza n. 25549/2024) ha enunciato il principio di diritto secondo cui in tema di mezzi di prova, i messaggi WhatsApp e gli SMS conservati nella memoria di un telefono cellulare conservano la natura di “corrispondenza” anche dopo la ricezione da parte del destinatario, almeno fino a quando, per il decorso del tempo o per altra causa, essi non abbiano perso ogni carattere di attualità, in rapporto all’interesse alla riservatezza, trasformandosi in un mero “documento storico”. Dal che – fino a quel momento – la loro acquisizione deve avvenire secondo le coordinate costituzionali in tema di sequestro della corrispondenza: esattamente come le lettere cartacee e i biglietti chiusi.

Il caso esaminato

Nella vicenda l’imputato era stato condannato per traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti. Lamentava l’inosservanza della disciplina processuale in relazione all’acquisizione dei messaggi WhatsApp presenti sul suo cellulare. Premetteva su tutto che l’affermazione di responsabilità a suo carico era fondata interamente sul contenuto dei messaggi visibili sul suo dispositivo ed acquisiti in violazione della disciplina di rito secondo cui con riguardo al sequestro della corrispondenza quando al sequestro procede un ufficiale di polizia giudiziaria, questi deve consegnare all’autorità giudiziaria gli oggetti di corrispondenza sequestrati; senza aprirli o alterarli e in ogni caso senza prendere altrimenti conoscenza del loro contenuto, trasmettendo il tutto, intatto, al pubblico ministero per l’eventuale sequestro.

I chiarimenti della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha innanzitutto evidenziato che nel caso dell’acquisizione dei messaggi WhatsApp custoditi nella memoria di un dispositivo elettronico non può parlarsi di “intercettazioni” con riguardo alla loro acquisizione. Escluso che l’acquisizione dei messaggi possano considerarsi un’intercettazione, la Suprema Corte ha richiamato l’orientamento della Corte costituzionale secondo cui essi rientrano invece nell’amplissima nozione di corrispondenza, che abbraccia ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) e che prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione. Con l’ulteriore precisazione che la Costituzione assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, consentendone la limitazione soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria estendendosi ad ogni strumento che l’evoluzione tecnologica metta a disposizione, compresi quelli elettronici e informatici.

Escluso che l’acquisizione dei messaggi possa rientrare nella nozione di intercettazione e una volta riconosciuto in via generale che essi rientrano nella nozione di corrispondenza, l’interrogativo da risolvere è quello di stabilire se i messaggi di posta elettronica, i messaggi WhatsApp e la messaggistica istantanea in generale, mantengano la natura di corrispondenza anche quando siano stati ricevuti e letti dal destinatario e ormai conservati e giacenti nella memoria dei dispositivi elettronici dello stesso destinatario o del mittente.

A tale proposito la Corte di Cassazione ha ricordato che su tale tema si fronteggiano due opposte concezioni. Secondo una concezione la corrispondenza già ricevuta e letta dal destinatario non è più un mezzo di comunicazione, perde la natura di corrispondenza e diventa un semplice documento. Tale concezione assume che la nozione di corrispondenza coincide con l’atto di “corrispondere” che si esaurisce nel momento in cui il destinatario prende cognizione della comunicazione. Deriva che messaggi di posta elettronica, SMS e WhatsApp, già ricevuti e memorizzati nel computer o nel telefono cellulare del mittente o del destinatario, assumono la natura di “documenti”. La loro acquisizione processuale, pertanto, non soggiace né alla disciplina delle intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche né a quella del sequestro della corrispondenza, la quale implica una attività di spedizione in corso. Secondo altra concezione, al contrario, la natura di corrispondenza non si esaurisce con la mera ricezione del messaggio e la presa di cognizione del suo contenuto da parte del destinatario, ma permane finché la comunicazione conserva carattere di attualità e di interesse per i corrispondenti, venendo meno solo quando il decorso del tempo o altra causa, abbia trasformato il messaggio in documento storico cui può attribuirsi un valore retrospettivo, affettivo, collezionistico, artistico, scientifico o probatorio.

Ebbene, secondo la Suprema Corte a fronte di tali contrapposte posizioni definitorie, la natura di corrispondenza va correttamente intesa nel senso espresso dalla seconda concezione. Su queste basi nella vicenda non è rilevabile la violazione della disciplina sul sequestro di corrispondenza, atteso che la polizia giudiziaria si era limitata a sequestrare lo smartphone che aveva consegnato all’autorità giudiziaria, senza per nulla accedere ai contenuti.

 
Fonte: Il Sole 24ORE

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