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Perdite fiscali, così la riforma cambierà le regole per il riporto

Fusioni e scissioni, possibile riferirsi anche al patrimonio netto a valori correnti. Il testo però al momento non è ancora stato inviato al Parlamento per i pareri

L’articolo 16 dello schema di decreto legislativo delegato di revisione dell’Irpef e dell’Ires – approvato in via preliminare dal Governo, ma al momento non ancora trasmesso al Parlamento – prevede importanti novità per il riporto delle perdite fiscali (e delle eccedenze Ace e di interessi passivi indeducibili ex articolo 96 del Tuir) nelle operazioni di fusione e scissione. Tradizionalmente, gli ostacoli riguardano il limite del patrimonio netto – come risultante dall’ultimo bilancio o dalla situazione patrimoniale di fusione, se inferiore, non tenendo conto dei conferimenti effettuati negli ultimi 24 mesi – e del test di vitalità economica (ricavi caratteristici e costo del lavoro dell’esercizio precedente alla fusione superiori al 40% della media degli ultimi due esercizi anteriori), così come previsti dall’articolo 172, comma 7, del Tuir e richiamati dal successivo articolo 173, comma 10, per la scissione.

Innanzitutto, il decreto, confermando le modalità di applicazione del test di vitalità economica secondo l’attuale normativa, stabilisce che questo deve essere superato anche nel “periodo interinale”, cioè quello che intercorre tra l’inizio dell’esercizio e la data di efficacia della fusione. La necessità di effettuare un doppio test di vitalità (esercizio precedente e interinale) era stata peraltro già affermata in più occasioni dall’Agenzia (risoluzioni 116/E/2006 e 143/E/2008; circolare 9/E/2010). La verifica del test di vitalità del periodo interinale è particolarmente gravosa (e per questo molto criticata in dottrina) in quanto impone la predisposizione di un conto economico infrannuale alla data di efficacia della fusione che, come precisato dal decreto, deve essere redatto in osservanza dei princìpi contabili applicati ai fini della redazione del bilancio di esercizio. I dati dei ricavi caratteristici e del costo del lavoro di tale conto economico infrannuale devono essere ragguagliati ad anno per essere confrontati con il 40% della media dei medesmi valori di bilancio dei due esercizi precedenti.

Importanti novità arriveranno anche per il limite del patrimonio netto, in quanto si stabilisce che le perdite sono riportabili fino a concorrenza del rispettivo valore “corrente” del patrimonio netto di ciascuna società partecipante alla fusione, da determinarsi in base ad una perizia giurata di stima riferita alla data di efficacia giuridica della fusione, redatta da un soggetto designato dalla società. In assenza della relazione di stima si applicherà il “vecchio” limite del patrimonio netto, cioè sulla base dei valori contabili (senza tener conto dei conferimenti degli ultimi 24 mesi).

Il nuovo comma 7-bis dell’articolo 172 prevede poi che, in caso di retrodatazione fiscale della fusione all’inizio dell’esercizio, anche le perdite fiscali che si sarebbero generate in via autonoma in capo alla società incorporata nel periodo interinale sono soggette ai limiti di riporto. Anche in questo caso, pertanto, aumentano gli adempimenti, dato che, sebbene la fusione sia retrodatata a inizio anno, occorrerà comunque predisporre un calcolo delle imposte per il periodo che va dall’inizio dell’esercizio alla data di effetto della fusione, per verificare la presenza di una eventuale perdita da assoggettare anch’essa ai limiti di riporto. Da notare che la bozza di decreto si riferisce alle sole perdite interinali dell’incorporata e non anche a quella dell’incorporante.

L’unica vera semplificazione della riforma è quella prevista dal nuovo comma 7-ter dell’articolo 172 in base al quale sono liberamente trasferibili le perdite realizzate nei periodi di imposta in cui le società partecipanti alla fusione facevano parte dello stesso consolidato fiscale. Ma a tale conclusione, a dire il vero, era già arrivata l’Agenzia, la quale aveva escluso l’applicazione dei limiti al riporto delle perdite fiscali già attribuite al gruppo nell’ambito del consolidato fiscale in quanto in questo caso la compensazione intersoggettiva conseguente alla fusione non comporta alcun vantaggio addizionale in termini di compensazione degli imponibili, poiché le perdite prodotte dalle società aderenti al consolidato “nascono” già compensabili con gli utili di altre società incluse nella tassazione di gruppo (Circolare 9/E/2010). Tale inapplicabilità viene però estesa dalla riforma anche alle perdite “omologate”, cioè quelle che hanno già superato i limiti previsti dall’articolo 172 (in caso di entrata nel gruppo a seguito di fusioni e scissioni intragruppo) e dell’articolo 84 (in caso di entrata nel gruppo mediante acquisizione della partecipazione da terzi).

 
Fonte: Il Sole 24ORE

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