Se la contabilità di una società risulta nel complesso inattendibile, l’Amministrazione finanziaria può, comunque, avvalersi del metodo di accertamento “analitico” e non è tenuta a utilizzare, necessariamente, il metodo “induttivo puro”.

È questo il principio stabilito la Corte di cassazione con le sentenze n. 16498 e 16528 entrambe del 13 giugno 2024.

Al riguardo, occorre premettere che i principali metodi di accertamento a disposizione del Fisco sono disciplinati dal Testo unico sull’accertamento, Dpr n. 600/1973.

In particolare, si distingue tra:

  • accertamento analitico, tramite cui l’ufficio rettifica le singole componenti reddituali, sia attive che passive. Il reddito è rideterminato attraverso il ricalcolo delle singole voci che lo compongono
  • accertamento sintetico, basato sull’esame delle spese sostenute dal contribuente nel periodo d’imposta considerato
  • accertamento analitico-induttivo, che si basa sull’utilizzo di presunzioni qualificate, ovvero di presunzioni aventi i requisiti della gravità, precisione e concordanza
  • accertamento induttivo-puro, tramite cui il reddito viene rideterminato prescindendo, in tutto o in parte, dalle risultanze contabili. Questo metodo è utilizzabile solo se il contribuente ha commesso le gravi violazioni descritte nel secondo comma dell’articolo 39 del citato Dpr n. 600/1973 o, ai fini Iva, nell’articolo 55 del Dpr n. 633/1972.

Chiaramente ciascuna tipologia di accertamento prevede determinati presupposti e specifiche modalità di utilizzo.

I casi esaminati dalla Corte di cassazione con le due pronunce in commento hanno riguardato una Srl nei cui confronti l’Agenzia delle entrate, a seguito di una verifica effettuata dalla Guardia di finanza, aveva emesso un atto di accertamento ai fini Ires, Irap e Iva sul presupposto che la società:

  • avesse operato come “cartiera”, emettendo e utilizzando fatture per operazioni soggettivamente inesistenti
  • avesse svolto un’attività di commercio di rottami con ricavi “in nero”, omettendo di contabilizzare.

I ricavi imputabili alla società erano stati ricostruiti anche mediante l’utilizzo dei dati della contabilità della società stessa.

Nel caso specifico, l’ufficio si era avvalso del metodo di accertamento “analitico-induttivo” (articolo 39, comma 1, lettera d) del Dpr n. 600/1973).

Questa disposizione prevede la rettifica del reddito d’impresa nel caso in cui “…l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’articolo 32”.

In entrambe le controversie, la Ctp di Napoli (sentenza n. 17512/2014) e la Ctr della Campania (decisione n. 11122/2015) hanno accolto la tesi della società, affermando che l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto utilizzare, nel caso specifico, il metodo di accertamento “induttivo puro”, ricostruendo il reddito d’impresa sulla base di elementi e notizie acquisite, prescindendo dai risultati della contabilità aziendale.

In particolare, la Commissione tributaria regionale ha motivato questa decisione con la constatazione che la contabilità della società oggetto di accertamento era risultata del tutto inattendibile e insufficiente a ricostruire l’effettivo andamento della gestione societaria.

Secondo i giudici tributari l’inattendibilità delle scritture contabili impedisce che le stesse possano essere utilizzate dall’ufficio ai fini della determinazione del reddito, con conseguente impossibilità per l’Amministrazione finanziaria di avvalersi di un metodo di accertamento di tipo analitico e conseguente obbligo di utilizzare il metodo di accertamento “induttivo puro”.

La Corte di cassazione ha, invece, ritenuto che, qualora ricorrano le condizioni stabilite dal legislatore ai fini dell’utilizzo del metodo di accertamento “induttivo puro”, l’ufficio non è, comunque, obbligato a utilizzare tale tipologia di accertamento, ma conserva la possibilità di avvalersi del metodo “analitico- induttivo”, a patto che la ricostruzione del reddito “….avvenga sempre secondo criteri di ragionevolezza e nel rispetto del parametro costituzionale della capacità contributiva (Cass, n. 1506 del 2017; Cass. n. 19191 del 2019)”.

Nei casi esaminati, il giudizio di inattendibilità della contabilità riguardava soprattutto il profilo delle vendite effettuate dalla società.

Pertanto, i giudici della Corte suprema hanno ritenuto legittimo l’utilizzo dei dati, provenienti dalla società stessa, relativi agli acquisti e alle rimanenze.

Per questi motivi è stato accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate, con conforma della correttezza del proprio operato.