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La plusvalenza c’è, irrilevanti le vicende successive al contratto

Per la Corte di cassazione, è errata la pronuncia dei giudici d’appello secondo cui la cessione d’azienda dichiarata risolta dal Tribunale doveva considerarsi come mai stipulata

La plusvalenza conseguita per effetto di una cessione di azienda a titolo oneroso, deve esser tassata anche nel caso in cui l’operazione sia stata risolta a seguito dell’inadempimento dell’acquirente.

Questo principio è stato espresso dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 3936 del 13 febbraio 2024.

Prima di esaminare nel merito la vicenda processuale, occorre premettere che la disciplina relativa alle plusvalenze immobiliari è contenuta nell’articolo 86 del Testo unico sulle imposte dirette, Dpr n. 917/1986 (Tuir).

In generale, il primo comma di tale disposizione prevede che le plusvalenze dei beni relativi all’impresa concorrono a formare il reddito se realizzate mediante cessione a titolo oneroso.

Il secondo comma della stessa norma stabilisce che l’ammontare della plusvalenza è dato dalla differenza tra il corrispettivo, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato del bene che ha generato la plusvalenza stessa.

Lo stesso comma dispone espressamente che “Concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento, realizzate unitariamente mediante cessione a titolo oneroso”.

Il caso in esame ha riguardato un contribuente che aveva acquistato un’azienda nel 1999, rivenduta nel 2002 indicando in atto un corrispettivo superiore rispetto a quanto da lui pagato nel 1999.

Appurato che nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2002 non era stata dichiarata alcuna plusvalenza da cessione di azienda, l’ufficio ha notificato al contribuente un atto di accertamento contestando, sulla base dell’articolo 86 del Tuir, sopra richiamato, il mancato pagamento della plusvalenza dovuta a seguito della cessione dell’azienda.

Il contribuente ha impugnato l’atto di accertamento ritenendo che, nel caso specifico, non si era generata alcuna plusvalenza in quanto l’acquirente non aveva versato l’integrale corrispettivo pattuito ma solo una parte, pari a quasi la metà del prezzo concordato.

Questa circostanza aveva poi indotto l’acquirente ad agire in sede civile verso l’acquirente, al fine di ottenere la risoluzione della cessione di azienda per inadempimento dell’acquirente.

Il Tribunale di Roma, accertato l’inadempimento dell’acquirente, ha dichiarato risolto il contratto e condannato l’acquirente a restituire l’azienda al suo venditore.

Sulla base di questa circostanza, sia la Ctp di Roma (sentenza n. 564/2013) che la Ctr del Lazio (sentenza n. 1904/2015) hanno accolto la tesi del contribuente, ritenendo che se non viene incassato il corrispettivo previsto non emerge alcuna plusvalenza imponibile in capo al cedente.

In particolare, secondo i giudici tributari di appello, la circostanza che il contratto di cessione di azienda era stato dichiarato risolto dal Tribunale implicava che il contratto stesso doveva considerarsi come mai stipulato e, quindi, non potevano ritenersi sussistenti i presupposti per il pagamento della plusvalenza.

A seguito del ricorso presentato dall’Amministrazione finanziaria, i giudici della Corte di cassazione hanno richiamato il loro consolidato orientamento, in base al quale “In tema di imposte sui redditi, la plusvalenza fiscalmente rilevante collegata alla cessione di un’azienda si realizza al momento della conclusione del contratto, mentre non hanno rilievo alcuno le vicende successive relative all’adempimento degli obblighi contrattuali, quali l’omessa percezione del prezzo o la sua eventuale rateizzazione, o l’estinzione dell’obbligazione per effetto di una transazione di carattere novativo, successivamente intervenuta. (Cass. N. 4365 del 23/02/2011; conf. Cassa. N. 4366 del 23/02/2011; Cass. N. 14848 del 07/06/2018.

Secondo la Corte suprema, in pratica, non bisogna attribuire rilievo né al mancato pagamento del corrispettivo né all’intervenuta risoluzione del contratto, in quanto la plusvalenza deve considerarsi realizzata nel momento in cui si verifica la cessione d’azienda, senza che assumano rilievo eventuali circostanze verificatesi dopo la stipula dell’atto di vendita.

I giudici hanno comunque riconosciuto che il contribuente, una volta verificatosi il mancato pagamento del prezzo, “…avrà comunque diritto a iscrivere a bilancio la relativa minusvalenza…”.

Per effetto di queste considerazioni è stato, quindi, accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, con riconoscimento della legittimità dell’atto di accertamento emesso dall’ufficio.

 
Fonte: Agenzia delle Entrate

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