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Responsabilità del liquidatore per debiti fiscali senza preventiva iscrizione a ruolo

A seguito dell’ultimo intervento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 32790/2023, l’agenzia delle Entrate e gli altri Enti impositori, in relazione ai debiti tributari non soddisfatti in sede di liquidazione, potranno far valere direttamente, ai sensi dell’articolo 36 del Dpr 602/1973, la responsabilità del liquidatore di società di capitali emettendo nei suoi confronti l’atto impositivo, senza dover attendere la preventiva iscrizione a ruolo del debito tributario della società.

Orientamento giurisprudenziale in merito alla possibilità per l’Ente impositore di far rispondere il liquidatore dei tributi non pagati dalla società a prescindere dall’avvenuto accertamento

L’articolo 36 del Dpr 602/1973 prevede una responsabilità del liquidatore per fatto proprio, di natura civilistica, che ha come presupposto l’esistenza di un debito sociale non adempiuto.

Superando l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la responsabilità in capo al liquidatore della società di capitali può essere invocata solo dopo la «certezza legale del debito sociale» e, dunque, solo dopo che il predetto debito sia stato posto in riscossione attraverso ruoli anche provvisori (tra le altre, Corte di Cassazione, sentenze n. 12546/2001 e n. 7327/2012), la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 32790/2023 ha, invece, statuito che al fine di azionare, in forza dell’articolo 36 del Dpr 602/1973, la responsabilità del liquidatore per il mancato pagamento delle imposte da parte della società di capitali durante le attività di liquidazione, l’Ente accertatore non è tenuto ad emettere preventivamente l’accertamento in capo alla società debitrice e ad affidare i carichi all’Agente della riscossione, potendo invece scegliere di far valere la propria pretesa direttamente attraverso la emissione di un atto impositivo nei confronti del liquidatore stesso.

D’ora in avanti, quindi, l’Ente impositore non è più tenuto ad accertare il debito in capo alla società, potendo far valere la pretesa nei confronti del liquidatore con apposito avviso di accertamento, il quale in sede di ricorso avverso tale atto, potrà contestare, innanzi agli organi della giustizia tributaria, la sussistenza dei presupposti dell’azione intrapresa nei suoi confronti, ivi compresa la debenza delle imposte a carico della società.

In particolare, il caso esaminato dai Giudici Supremi riguardava un liquidatore di un Srl che aveva provveduto a ripartire le attività, attraverso la soddisfazione dei soli crediti chirografari, senza tener conto dei crediti vantati dall’Ente impositore per ritenute alla fonte e Iva dichiarate dalla società per l’anno di imposta 2004, ma non versate.

Essendo la società stata cancellata prima del 13 dicembre 2014 e, dunque, prima della entrata in vigore dell’articolo 28 del Dlgs 175/2014 (norma irretroattiva, secondo cui, ai fini della notifica degli atti impositivi la cancellazione della società ha effetto decorsi cinque anni dalla richiesta), l’Ufficio dell’agenzia delle Entrate, non potendo emettere alcun atto impositivo nei confronti della società ormai cancellata, emetteva l’atto impositivo direttamente nei confronti del liquidatore, evidenziando le circostanze legittimanti gli addebiti al liquidatore e la illiceità della sua condotta laddove aveva proceduto al pagamento dei creditori senza alcuna considerazione della esistenza di debiti erariali certi nel loro ammontare in quanto relativi ad imposte dichiarate e non versate.

Il liquidatore impugnava così l’atto di accertamento emesso a suo carico, eccependone la nullità e/o illegittimità per violazione e falsa applicazione dell’articolo 36 del Dpr 602/1973 laddove, anche in forza del consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità fino ad allora enunciato, l’accertamento emesso nei suoi confronti non era stato preceduto dalla preventiva iscrizione a ruolo del debito tributario in capo alla società.

La allora Commissione Tributaria Regionale chiamata a pronunciarsi sulla questione, non accoglieva le ragioni del liquidatore, ritenendo che l’Ufficio nell’avviso di accertamento emesso ai danni del liquidatore avesse indicato puntualmente non solo le circostanze legittimanti gli addebiti al liquidatore, ma anche la illiceità della condotta dello stesso che aveva proceduto al pagamento dei creditori senza alcuna considerazione della esistenza di debiti erariali certi nel loro ammontare in quanto relativi ad imposte dichiarate e non versate.

Così, il liquidatore impugnava la sentenza di secondo grado per cassazione.

Nel respingere il ricorso, le Sezioni Unite hanno affermato che ai fini della configurabilità della responsabilità di cui all’articolo 36 del Dpr 602/1973 non è necessaria la preliminare iscrizione a ruolo del debito erariale in capo alla società, potendo l’Ufficio emettere l’avviso di accertamento direttamente nei confronti del liquidatore.

Quest’ultimo, dal canto suo, potrà ricorrere non solo con l’intento di dimostrare di aver agito con diligenza, ma censurando il merito della pretesa.

In particolare, nella sentenza in commento le Sezioni Unite scrivono: «Nel pieno esercizio del suo diritto di difesa (preceduto peraltro, come risulta dalla sentenza impugnata, dall’invio da parte dell’Amministrazione finanziaria di un questionario, rimasto senza esito), il liquidatore nulla ha dedotto in ordine alla eventuale non debenza o insussistenza del debito tributario che, invece, secondo l’ordinaria diligenza conseguente alla carica rivestita e agli obblighi alla stessa connessi, avrebbe dovuto appostare nel bilancio di liquidazione, e quindi, soddisfare nei limiti della capienza del patrimonio sociale, invece di procedere, come avvenuto, alla ripartizione dell’attivo ai creditori chirografari».

Ai sensi dell’articolo 36 comma 5 del Dpr 602/1973, infatti, «La responsabilità … è accertata dall’ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600».

Quindi, specificano le Sezioni Unite, «è in tale sede, pertanto, e non al di fuori di essa, che la certezza del debito della società dovrà essere acquisita nei confronti del liquidatore, il quale potrà ivi esercitare pienamente il proprio diritto di difesa, contestando la sussistenza dei presupposti della propria responsabilità invocata dall’Erario».

In particolare, secondo il nuovo avviso dei Giudici Supremi, la preventiva iscrizione a ruolo del debito tributario societario non costituisce condizione necessaria per la legittimità dell’atto di accertamento emesso nei confronti del liquidatore, il quale, in sede di ricorso avverso tale avviso, potrà contestare, innanzi agli organi della giustizia tributaria la sussistenza dei presupposti dell’azione intrapresa nei suoi confronti ivi compresa la debenza di imposte a carico della società.

Ma per capire meglio la importanza del nuovo e opposto orientamento giurisprudenziale di legittimità, sia in termini generali che in termini di peculiare rilievo nel caso in cui sia intervenuta la cancellazione della società di capitali dal Registro delle imprese prima del 13 dicembre 2014 (attesa la sospensione per un quinquennio, ai soli fini fiscali, della efficacia dell’estinzione della società), è opportuno soffermarsi sulla disciplina, modificata a decorrere dal 2014, della responsabilità dei liquidatori recata dal citato articolo 36 del Dpr 602/1973 e della possibilità di notifica degli atti impositivi alle società entro il termine di cinque anni dalla loro estinzione in forza dell’articolo 28, comma 4 del Dlgs 175/2014.

Le responsabilità dei liquidatori ex articolo 36 del Dpr 602/1973

Secondo quanto stabilito dall’articolo 36 del Dpr 602/1973, come modificato, a decorrere dal 2014, dal Dlgs 175/2014, vi sono tre forme di responsabilità:

– una a carico del liquidatore, che si concretizza quando egli soddisfa crediti di rango inferiore a quelli fiscali o assegna beni ai soci adottando, in sostanza, una condotta negligente, che prevede una inversione dell’onere della prova a danno del liquidatore e riguarda i debiti inerenti alla liquidazione e quelli anteriori. «Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti» (comma 1);

– un’altra a carico degli amministratori basata sugli stessi presupposti (comma 2);

– una terza che grava sui soci, responsabili dei debiti fiscali se durante la liquidazione o nei due anni prima hanno ricevuto somme o beni in assegnazione dai liquidatori o dagli amministratori. Pertanto, la responsabilità è parametrata al valore dei beni ricevuti, tenendo presente che «il valore del denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio od associato, salva la prova contraria» (comma 3).

Pertanto, il liquidatore delle società di capitale è sottoposto ad una responsabilità derivante dal mancato pagamento di tutti i tributi che:

– scatta qualora abbia soddisfatto crediti di ordine inferiore a quelli tributari o abbia assegnato beni ai soci (ivi incluso il denaro) prima di pagare i debiti fiscali, ed è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti;

– può coinvolgere anche gli amministratori e i soci che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione denaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione. In tal caso, comunque, la responsabilità è circoscritta al pagamento delle imposte dovute dai liquidatori nei limiti del valore dei beni ricevuti, salvo le maggiori responsabilità contemplate dal Codice civile.

Inoltre:

– la responsabilità può riguardare ogni tipo di imposta e non solo le imposte sui redditi;

– vige una sorta di inversione dell’onere della prova, tale per cui è il liquidatore a dover dimostrare di essere esente da responsabilità, dimostrando di aver gestito la fase di liquidazione nel rispetto della legge e, quindi, di non aver né assegnato beni ai soci, né di aver soddisfatto crediti di rango inferiore rispetto a quelli tributari.

Dal canto suo, invece, l’Ente impositore, se intende azionare la responsabilità, deve dimostrarne i presupposti costitutivi, provando, quindi, l’inadempimento circa il pagamento del debito tributario con le attività della liquidazione, facendo riferimento all’entità della responsabilità, coincidente con l’importo del debito che avrebbe trovato capienza in sede di graduazione dei crediti.

La citata disposizione normativa di cui all’articolo 36 del Dpr 602/73, dunque, stabilisce un privilegio indiretto in capo alla Amministrazione finanziaria, prevedendo, di fatto, che il liquidatore è chiamato a rispondere delle proprie azioni se soddisfa creditori che, nell’ordine stabilito dal Codice civile, non dovevano essere preferiti all’Erario.

Ovviamente, questo non vuol dire che tra società e liquidatore sussista un vincolo solidale, né tanto meno che una volta cancellata la società, la responsabilità del liquidatore per i debiti fiscali insoddisfatti sia automatica, né che una volta estinta la società di capitali, il processo tributario debba proseguire nei confronti dell’ex liquidatore.

Secondo la giurisprudenza che si era formata prima della sentenza n. 32790/2023, la predetta responsabilità in capo al liquidatore di società di capitali:

– sussiste nel caso di attività diretta di fatto alla liquidazione della società, indipendentemente dalla messa in liquidazione (Cass. 1273/1978);

– non è fondata sul dolo o sulla colpa (Cass. 7327/2012);

– va appurata nel momento in cui si verifica il presupposto di imposta, quindi, se si tratta di IRES, nel momento di chiusura del bilancio di liquidazione e di trasmissione della dichiarazione di liquidazione (Cass. 8334/2016);

– può operare anche nei confronti dell’amministratore che, prima della nomina dei liquidatori, abbia di fatto posto in essere operazioni liquidatorie e di tutti coloro i quali si siano occupati della realizzazione del patrimonio sociale al fine di estinguere le passività (Cass. 12546/2001);

– non ha natura tributaria, sebbene il ricorso avverso l’atto di accertamento deve essere comunque incardinato presso il giudice tributario (tra le altre, Cass. 2079/1989);

– è estesa anche agli amministratori che hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili (Corte di Cassazione, sentenza n. 14570/2021).

Come innanzi accennato, prima della pronuncia delle Sezioni Unite n. 32790/2023, la stessa Corte di Cassazione, nel vigore dell’articolo 265 del Dpr 645/1958 – disposizione normativa antecedente all’articolo 36 del Dpr 602/1973 – aveva ripetutamente sostenuto che la responsabilità del liquidatore delle società di capitali per il mancato pagamento dei debiti tributari nella fase di liquidazione dovesse avere come condizione la «certezza legale del debito» ossia la preventiva emissione dell’accertamento in capo alla società e l’affidamento della pretesa all’Agente della Riscossione anche in via non definitiva

In particolare, prima della pronuncia n. 32790/2023, ad avviso dei Giudici Supremi, l’Ente impositore poteva azionare, in forza dell’articolo 36 del Dpr 602/73, la responsabilità del liquidatore (o anche degli amministratori e/o dei soci) di società di capitali in fase di liquidazione «quando i ruoli relativi all’accertamento in capo alla società possono essere posti in riscossione» e anche quando l’accertamento emanato in capo alla società non è definitivo (Corte di Cassazione, sentenze n. 30481/2022, n. 7327/2012, n. 12546/2001), con la conseguenza che era necessaria la notifica dell’accertamento alla società per poter azionare la responsabilità in capo al liquidatore secondo quanto stabilito dall’articolo 36 del Dpr 602/1973.

Tuttavia, questo principio comportava problemi in tutti i casi in cui l’estinzione della società di capitali era avvenuta prima del 13 dicembre 2014 ossia prima della entrata in vigore dell’articolo 28 del Dlgs 175/2014, norma irretroattiva che consente la notifica di atti di accertamento (avvisi di accertamento e di liquidazione), di riscossione (cartelle di pagamento, intimazioni ad adempiere) e del contenzioso (ricorsi, appelli) nei confronti del soggetto estinto, visto che la richiesta di cancellazione è irrilevante dal punto di vista fiscale e contributivo.

Infatti, nel caso delle società estinte prima del 13 dicembre 2014, l’Ufficio difficilmente poteva azionare la responsabilità del liquidatore laddove non avesse proceduto, prima della cancellazione della società dal Registro delle Imprese, alla emissione e notifica dell’accertamento a carico della stessa società e alla successiva iscrizione a ruolo dei debiti erariali.

Invero, dal 13 dicembre 2014, con la entrata in vigore della citata norma di cui all’articolo 28 del Dlgs 175/2014 la questione è stata un po’ mitigata, avendo l’Ufficio ben cinque anni di tempo dopo la estinzione delle società per emettere a carico della medesima società atti impositivi prima di azionare la responsabilità del liquidatore.

Ora, invece, alla luce dell’ultima pronuncia n. 32790/2023 resa in merito a questa questione dal massimo consesso di Piazza Cavour, la preventiva iscrizione a ruolo del debito tributario societario in capo alla società non costituisce condizione necessaria per la legittimità dell’atto di accertamento emesso nei confronti del liquidatore, il quale, in sede di ricorso avverso tale avviso, potrà contestare, innanzi agli organi della giustizia tributaria la sussistenza dei presupposti dell’azione intrapresa nei suoi confronti ivi compresa la debenza di imposte a carico della società.

 
Fonte: Il Sole 24ORE

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