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Prezzi di marketing e ingrosso, dall’Ocse nuovi criteri più rigidi

La versione finale del documento Amount B punta a semplificare i calcoli. Il testo sarà incluso nelle Linee guida e sarà applicabile dal 2025 ma gli Stati potranno decidere se adottarlo

Il 19 febbraio l’Ocse ha emanato la versione finale del documento sul cosidetto Amount B che, nell’ambito del progetto sul Pillar 1, vuole proporre un metodo semplice e standard per determinare una remunerazione arm’s length (cioè a condizioni di mercato) delle attività di base di marketing e distribuzione all’ingrosso. Il documento sarà incluso nelle Linee guida sui prezzi di trasferimento e sarà applicabile dal 1° gennaio 2025 a tutti i contribuenti, senza distinzioni di soglie di fatturato (a differenza dell’Amount A del Pillar 1 e del Pillar 2).

Nonstante l’Ocse lo consideri un documento finale, mancano ancora alcune parti rilevanti dell’analisi che saranno pubblicate in futuro. Tra queste vi sono un’ulteriore guida qualitativa per definire le società comprese nell’ambito di applicazione, che i Paesi potranno scegliere se applicare o meno e la lista delle giurisdizioni cosiddette low-capacity e qualifying.

Le analisi si basano su una ricerca di società “comparabili” svolta mediante database in applicazione del metodo Tnmm (cioè del margine netto della transazione). In alcuni casi gli step dell’analisi sono generici, è stato ad esempio deciso di non distinguere i risultati in base alle geografie per cui i dati sono applicabili a livello globale, con sole differenze per le giurisdizioni low-capacity e qualifying. In altri step è richiesto un livello di dettaglio elevato, ad esempio va corretto il valore dei debiti (utilizzati assieme ad altri parametri per filtrare le società in scope) che hanno un indice di rotazione superiore a 90 giorni, per evitare strumentali riduzioni dei risultati. Viene introdotto un nuovo indicatore per definire valori massimi e minimi di remunerazione, il rendimento sulle spese operative (pari all’Ebit rapportato a spese operative ad esclusione dei costi di acquisto dei beni), che sostituisce il berry ratio (cioè il rapporto tra utile lordo e spese operative), incluso nelle precedenti versioni in bozza e più comunemente utilizzato nelle analisi di transfer pricing, anche se ciò non dovrebbe comportare cambiamenti di rilievo.

Sui risultati si evidenzia (tra gli altri):

  • gli intervalli di valori sono più ristretti (con banda di oscillazione di +/- 0,5%) rispetto agli intervalli che normalmente si ottengono nelle analisi di transfer pricing (es. intervallo interquartile), il che comporterà una maggiore rigidità nella gestione degli eventuali aggiustamenti;
  • i margini di redditività sono tutti positivi, vale a dire i distributori e agenti a cui si applica non possono essere in perdita. Anche questo aspetto sembra una forzatura, suprattutto nei Paesi che implementeranno l’amount B in forma obbligatoria. È di tutta evidenza infatti che nel libero mercato distributori indipendenti che rispettano i parametri fissati nel documento potrebbero avere delle perdite.

 

L’aspetto che genera maggiori dubbi è tuttavia se il documento raggiunga gli obiettivi prefissati, ovvero semplificare le analisi, ridurre i relativi costi ed aumentare la certezza per i contribuenti.

Va considerato infatti che i risultati ottenuti in una giurisdizione che ha deciso di adottare l’amount B non sono vincolanti per le giurisdizioni della controparte che ha adottato un approccio diverso. Anche se vi è un impegno a rispettare i risultati in presenza di giurisdizioni low-capacity, il quadro che sembra delinearsi è alquanto articolato.

Gli Stati potranno infatti decidere se implementare l’Amount B o meno e qualora decidano di farlo, potranno renderlo obbligatorio oppure opzionale. Non solo, si potrà decidere se adottare il documento che sarà pubblicato per definire qualitativamente le società in scope, che si aggiungerebbe ai parametri quantitativi. Ancora, le giurisdizioni potrebbero scegliere parametri quantitativi diversi. In sintesi le opzionalità sono molte e sembrerebbe che solo nei casi in cui vi è perfetta corrispondenza tra tutte le scelte vi possa essere garanzia del riconoscimento dell’Amount B per entrambe le parti.

In tutte le altre (numerose) casistiche, qualora vi siano delle contestazioni, la doppia imposizione si potrà risolvere sono con le analisi “classiche” mentre l’Amount B non sarà riconosciuto. Anche i costi di compliance presumibilmente si duplicheranno in tutti i casi in cui una parte adotta l’Amount B e la controparte le analisi “classiche”.

A prescindere dalla formale adozione, la auspicata maggiore certezza per i contribuenti potrebbe arrivare in futuro se si creasse una sorta di consensus a livello internazionale su numeri e metodi, ma ci vorrà tempo. Anche perchè al momento alcuni stati come India e Nuova Zelanda hanno già comunicato che non adotteranno l’Amount B.

 
Fonte: Il Sole 24ORE

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