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Donazioni indirette, riforma e Cassazione allineate

La tassazione delle liberalità non registrate scatta solo qualora il contribuente ne attesti la stipula nel corso di una procedura di accertamento

Sulle donazioni indirette bozza di riforma allineata alla Cassazione. Risulta infatti del tutto invariato il trattamento fiscale delle donazioni indirette contemplato nella bozza di riforma dell’imposta di donazione rispetto a quello che la legge attualmente dispone e che è stata oggetto di una recentissima interpretazione da parte di una decisione della Cassazione (la n. 7442/2024) di cui il Sole 24 Ore ha dato notizia il 21 marzo scorso e che ha avuto un’amplissima risonanza anche sulla stampa non specializzata.

La riforma

La bozza della legge di riforma, infatti, prende in considerazione, ma solo per ritoccarli leggermente:

– sia l’articolo 55, comma 1-bis, del Dlgs 346/1990 (il Tus, testo unico dell’imposta di successione e donazione), ove è contenuta la norma che sottopone a tassazione le donazioni indirette oggetto di atti per i quali è prescritta la registrazione;

– sia l’articolo 56-bis, comma 1, del Tus, il quale dispone che l’accertamento delle donazioni indirette può essere effettuato «esclusivamente» quando esse sono confessate dal contribuente «nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi».

Registrazione, obbligo o no

Queste sono esattamente le due norme dalla cui combinazione si desume, come confermato dalla Cassazione, che per le donazioni indirette non vi è, di per sé, un obbligo di registrazione a meno che non risultino da atti soggetti a registrazione (classico è il caso del bonifico bancario tra padre e figlio); e che, se non siano registrate, la loro tassazione si ha solo qualora il contribuente, nel corso di una procedura di accertamento, ne attesti l’avvenuta stipula. In quest’ultimo caso vi è però da tenere in conto che la tassazione è più elevata (dovendosi applicare l’aliquota dell’8 per cento) rispetto a quella che si avrebbe se la donazione fosse stata registrata all’origine, in quanto se, ad esempio, di fosse trattato di una donazione indiretta tra padre e figlio, l’aliquota normalmente applicabile sarebbe quella del 4 per cento.

Se, dunque, la legge di riforma viene proposta, sul punto delle donazioni indirette, in un testo pressoché invariato rispetto a quello oggi vigente, deve significare che il legislatore, ben al corrente del dibattito ultraventennale che si è sviluppato in questa materia e dell’approdo che è stato raggiunto in giurisprudenza, non ritiene di intervenire per introdurre variazioni su questo tema in quanto evidentemente reputa idonea la normazione oggi in vigore.

I profili civilistici

Resta comunque fermo il tema civilistico: sia che si tratti di una donazione diretta (quella che si deve stipulare in uno studio notarile), sia che si tratti di una donazione indiretta (uno dei casi più frequenti è quello dei genitori che paghino un acquisto del figlio), le conseguenze sono in ogni caso le medesime. Infatti, le donazioni, dirette e indirette sono rilevanti:

a) ai fini della collazione, in quanto quando c’è – come di solito accade – una comunione ereditaria tra i più prossimi congiunti del defunto, quelli che hanno ricevuto donazioni devono considerarle come un “acconto” a loro favore;

b) ai fini del calcolo della quota di legittima, vale a dire la parte del patrimonio del defunto che necessariamente deve essere lasciata ai suoi stretti familiari (detti legittimari), considerando sia le donazioni dal medesimo disposte durante la sua vita, sia il patrimonio di cui egli risulti titolare al momento del decesso.

Qualora, dunque, in conseguenza di una donazione, taluno dei legittimari non riceva quanto gli è per legge dovuto a titolo di legittima, costui può recuperare ciò che gli spetta: anzitutto rivolgendo le sue pretese verso la massa ereditaria; e, se non basta, impugnando appunto le donazioni, iniziando da quella di data più recente.

 
Fonte: Il Sole 24ORE

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