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Quattro categorie per distinguere i crediti d’imposta inesistenti

Nel parere della Camera al decreto sanzioni l’input a chiarire i confini. Meno margini di incertezza anche sulla non spettanza: sarà assoluta o relativa

Quattro ipotesi di inesistenza e due di non spettanza. Su questa direttrice intende muoversi il Governo per dettagliare le contestazioni sui crediti d’imposta. L’input è arrivato dalle commissioni Finanze e Giustizia della Camera nel parere approvato sul decreto attuativo della delega fiscale sulle sanzioni amministrative e penali. Nella versione finale del provvedimento l’idea dell’Esecutivo è di andare a specificare i casi in cui possono scattare le due differenti ipotesi, a cui corrispondono conseguenze sanzionatorie di tipo differente. Secondo questa impostazione, la (più grave) qualificazione di inesistenza scatterebbe nei casi di frode con false fatture, frode con altri artifici, di totale assenza di un’operazione sottostante e, infine, quando è stata disattesa ogni regola pur in presenza di dettagliate indicazioni da parte del legislatore.

Mentre la non spettanza del credito d’imposta dovrebbe scattare in presenza di una doppia situazione. Una di tipo assoluto quando c’è una divergenza interpretativa con l’amministrazione finanziaria. È in pratica una situazione di infedeltà, che ad esempio può verificarsi intorno al requisito della novità del progetto “letta” in maniera diametralmente opposta da uffici e contribuenti. L’altra situazione di non spettanza è, invece, relativa. Per fare, anche in questa circostanza, un’ipotesi concreta si tratta dei casi in cui il contribuente dichiara un credito più alto rispetto a quello effettivamente maturato e quindi anche più facilmente rettificabile dal Fisco con i controlli automatizzati, come quelli da 36-bis.

In questo modo, dunque, il Governo punta a recepire la prima delle 19 osservazioni contenute dal parere di cui sono stati relatori Maria Carolina Varchi (Fratelli d’Italia) per la commissione Giustizia e Vito De Palma (Forza Italia) per la commissione Finanze di Montecitorio. Le richieste sono contraddistinte da un filo rosso che punta a un alleggerimento dell’apparato sanzionatorio. Sul discusso tema del «favor rei» delle sanzioni amministrative favorevoli, i deputati chiedono almeno di prevedere la retroattività almeno nei casi in cui a parità di importo della sanzione la differenza è solo quantitativa: ad esempio, vengono previsti 120 giorni invece di 60 per le correzioni. Una richiesta che però si scontra con la realtà dei conti pubblici e con l’orientamento del Governo di limitare l’introduzione di norme di spesa nell’attuazione della delega, almeno in questa fase. L’impatto dell’applicazione del «favor rei» delle sanzioni amministrative è stato, infatti, stimato dai tecnici dell’Economia in circa 2 miliardi di euro.

Nel solco della riduzione delle penalità va anche la richiesta di ridimensionare la stretta sulle sanzioni accessorie per chi non aderisce al concordato preventivo e che, al verificarsi dei requisiti previsti, può portare anche alla sospensione temporanea dell’attività. A detta dei deputati, questa misura sarebbe troppo penalizzante al punto da «tramutarsi in un’indebita pressione all’accettazione della proposta» di accordo per le imposte dovute per due anni. Ma anche su questo punto difficilmente il Governo farà un passo indietro perché ritiene necessario mantenere una deterrenza per chi non aderirà al concordato.

 
Fonte: Il Sole 24ORE

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