È in contrasto con il diritto unionale la norma nazionale per la quale non può essere rimborsata l’eccedenza dell’Iva, conseguente a un’erronea applicazione dell’aliquota d’imposta, relativa a operazioni che hanno dato luogo non a una fatturazione, ma all’emissione di scontrini di registratori di cassa. Tale principio non trova applicazione nel caso in cui l’amministrazione finanziaria dimostri l’arricchimento senza causa del soggetto passivo, tramite un’analisi economica che deve essere valutata dal giudice nazionale e che tenga conto di tutte le circostanze pertinenti che attestino che l’onere economico dell’imposta indebitamente riscossa è stato neutralizzato dal soggetto passivo. A chiarirlo è la Corte di giustizia Ue con la sentenza resa nella causa C-606/22.
Il caso
Un contribuente, società polacca, che esercitava un’attività di prestazione di servizi inerenti ad attività ricreative e al miglioramento della condizione fisica. In particolare, tramite il tesseramento degli associati questi potevano accedere liberamente ai locali di un club sportivo e utilizzare gli impianti che ivi si trovavano.
Tale attività di tesseramento era stata assoggettata dalla società polacca all’aliquota Iva ordinaria (23%), anziché quella ridotta (8%). Per tale ragione, il contribuente ha proposto una istanza di rimborso dell’Iva versata in eccedenza.
Tuttavia, l’Amministrazione finanziaria polacca ha negato il rimborso dell’Iva, sulla scorta del fatto che il diritto tributario interno non prevedeva la possibilità di rettificare l’imponibile Iva e la relativa imposta in assenza di una fattura emessa per l’operazione. Ed infatti, nel caso di specie, erano stati emessi degli scontrini fiscali tramite dei registratori di cassa.
La decisione
A seguito del rinvio, la Corte di giustizia ha rilevato l’incompatibilità della norma nazionale polacca con la direttiva Iva.
Secondo i giudici unionali, la nozione omnicomprensiva di base imponibile Iva impone che quest’ultima imposta non concorra alla formazione della base imponibile, posto che la stessa essere sempre compresa nel prezzo convenuto tra le parti, anche in caso di errore da parte del soggetto passivo nella determinazione dell’aliquota Iva applicabile al caso concreto.
Da ciò consegue che in caso di erronea applicazione dell’aliquota d’imposta, il soggetto passivo può chiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso di tutta o di parte dell’imposta indebitamente corrisposta. Ciò, soprattutto, nel caso in cui il soggetto passivo abbia registrato un danno economico connesso alla diminuzione del volume sulle vendite.
Pertanto, il contribuente soggetto passivo dell’Iva possa chiedere a rimborso, anche in caso di errore riconducibile al medesimo, l’eccedenza conseguente all’errore nella determinazione dell’aliquota applicabile.
Inoltre, la mancata previsione del rimborso dell’Iva in caso di emissione di scontrini fiscali anziché di fatture palesa una violazione del principio unionale di effettività, laddove viene chiarito che i requisiti richiesti dall’ordinamento interno non devono essere congegnati in modo da rendere praticamente impossibile o estremamente difficoltoso l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione europea.