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Residenza fiscale per chi è presente in Italia per almeno 183 giorni

Il rischio di diventare residente riguarda frontalieri, studenti e turisti di lunga durata che provengono da Paesi non legati da Convenzione

L’articolo 1 del Dlgs 209/2023 (decreto Internazionalizzazione) modifica sostanzialmente l’articolo 2, comma 2 del Tuir che individua i criteri per determinare la residenza fiscale nel nostro Paese.

Tra le novità principali vi è l’introduzione di un nuovo criterio che, se soddisfatto per la maggior parte del periodo di imposta, stabilisce la residenza nel nostro Paese: la presenza nel territorio dello Stato.

Si tratta, come gli altri tre criteri che ricordiamo essere la residenza (dimora abituale), il domicilio (in base alla nuova definizione che richiama i soli interessi personali e familiari) e l’iscrizione all’anagrafe (che ammette ora prova contraria), di un nuovo criterio alternativo sufficiente a determinare la residenza fiscale in Italia anche quando tutti gli altri tre criteri non siano soddisfatti.

Dal 2024 risultano pertanto residenti in Italia anche le persone fisiche presenti fisicamente sul territorio dello Stato per almeno 183 giorni (184 negli anni bisestili).

Si amplia così il perimetro dei soggetti che diventano residenti anche se, nel caso in cui la persona risulti residente anche in altro Paese che ha stipulato con l’Italia Convenzione contro le doppie imposizioni, occorrerà fare riferimento ai criteri convenzionali per individuare l’unica residenza fiscale.

In base all’articolo 4 del modello Ocse e alla generalità delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia il conflitto di doppia residenza è risolto in favore del Paese dove la persona ha l’abitazione permanente e, in subordine, nel Paese dove le sue relazioni personali ed economiche sono più strette. Il criterio più vicino a quello della presenza nel territorio, ovvero quello del soggiorno, rileva infatti soltanto quando non sia possibile determinare la residenza in uno dei due Stati in base all’abitazione permanente o al centro degli interessi ed è comunque un criterio da apprezzare, secondo il Commentario, su un lasso di tempo più ampio di un anno.

Così il frontaliere sloveno che si reca ogni giorno a Gorizia per lavorare nell’impresa italiana potrebbe diventare, dal 2024, residente in Italia ai sensi dell’articolo 2 comma 2 del Tuir ma resterebbe comunque residente fiscale sloveno in quanto dimora nel proprio appartamento a Nova Gorica. L’articolo 4 della Convenzione (che prevale sulla norma interna) prevede infatti che quando «una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti» è da considerare residente nel solo Stato «nel quale ha un’abitazione permanente».

Risolto il problema per i Paesi confinanti, tutti legati da Convenzione con l’Italia, una criticità permane con il Principato di Monaco (Paese black list a cui si applica l’inversione dell’onere della prova): in assenza di Convenzione, il pendolare monegasco che lavora a Ventimiglia rischia ora di diventare residente in Italia. Non solo, considerato che nel conteggio dei giorni utili alla verifica della maggior parte del periodo di imposta si deve tener conto, per espressa previsione del legislatore, anche delle frazioni di giorno, anche i monegaschi che si recano in Italia semplicemente per fare la spesa o andare al ristorante per oltre 182 giorni potrebbero diventare fiscalmente residenti in Italia.

Il rischio di diventare residente riguarda anche studenti e turisti di lunga durata che provengono da Paesi non legati da Convenzione: quando risultino presenti nel nostro Paese per la maggior parte del periodo di imposta diventeranno soggetti passivi con obbligo, in base al worldwide principle taxation, di dichiarare redditi e patrimonio assoggettati a imposte sui redditi, Ivie e Ivafe.

 
Fonte: Il Sole 24ORE

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