Con il decreto legislativo del 13 settembre 2024, n. 136 (Decreto Correttivo Ter al Codice della Crisi di Impresa) si procede ad una puntigliosa ed attesa modifica del Codice della Crisi di Impresa (D.lgs n. 14 del 2019). Tra le varie novelle, risulta modificato anche l’articolo 189 in tema di rapporti di lavoro subordinato e procedure concorsuali. Analizziamo le modifiche.
Mi ricordo quando ero giovane. Mi recavo ogni venerdì in Tribunale per piazzarmi (scusate il termine ma era proprio così) dai Giudici della Sezione Fallimentare per udienze costanti, quasi 7 alla settimana, tanta era la mole di lavoro che i giuslavoristi concorsualisti avevano al tempo.
Erano momenti difficilissimi. Si viaggiava a 52 nomine all’anno (fate voi i calcoli) tra Concordati (siamo nel 2010 fino al 2015) e fallimenti. Il tutto, sia chiaro, in assenza di una disposizione normativa organica e positiva in tema di rapporti di lavoro. Come gestire quella crisi italiana evidente e complessa, che ogni settimana continuava a colpire l’imprenditoria (non tutta sana) ed i livelli occupazionali del bel paese?
Oggi è facile ricordare che l’articolo 189 del D.lgs n. 14/2019 (Codice della Crisi di impresa o CCI) ha il merito di aver consegnato, per la prima volta, un riconoscimento normativo alla gestione dei rapporti di lavoro subordinato, storicamente riferiti ad una mera estensione del fu articolo 72 della vecchia Legge fallimentare la cui rubrica richiamava i “rapporti pendenti”. Le poche parole qui spese non riescono a significare quanto il 189, giusto o sbagliato, almeno riconosce che la tematica lavoristica nelle procedure concorsuali esiste e non possa essere rimessa ad interpretazioni analogiche.
Ecco perché le modifiche del Correttivo ter meritano di essere analizzate con rigore. Perché il futuro che avanza potrebbe non essere così roseo.
Le modifiche all’articolo 189
La nuova disciplina conserva la necessaria previsione già inserita nel testo del 2019 ovvero “I rapporti di lavoro subordinato in atto alla data della sentenza dichiarativa restano sospesi fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, comunica ai lavoratori di subentrarvi, assumendo i relativi obblighi, ovvero il recesso” (Art 189 comma 1) con addirittura una efficacia ex lege retrodatata “alla data di apertura della liquidazione giudiziale” (comma 2).
Viene però meno la previsione in ordine alla quale “l’apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del datore di lavoro non costituisce motivo di licenziamento”. Sebbene all’apertura della liquidazione oramai non vi sia più un “datore di lavoro” in senso civilistico, deve rilevarsi come la soppressione di tale previsione non debba ingannare nessuno. L’eventuale recesso a cura del curatore è bene che si fondi sempre sulla cessazione dell’attività dato che la mera apertura della procedura non significa, come sappiamo, non poter proseguire un’attività di impresa (sia in forma di esercizio provvisorio che nell’auspico di una operazione straordinaria quale il trasferimento, parziale o totale che sia).
Scompare altresì, al secondo comma dell’art 189, la comunicazione all’Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL) in ordine allo “stato occupazionale” della procedura al suo inizio. Peraltro rileviamo che ogni riferimento all’ITL viene rimosso dato che, evidentemente, si è ritenuto eliminare questo “players” introdotto nel testo originario del 2019 (ma che peraltro sino ad allora non sembrava avere una grande competenza specifica di tematiche concorsuali e lavoristiche).
La nuova struttura normativa dispone quanto segue:
1) I rapporti di lavoro subordinato presenti all’atto della sentenza dichiarativa sono sospesi (comma primo). Si badi bene: è sospeso il rapporto, non la prestazione (quindi non competono retribuzioni né contribuzione alcuna all’interno dell’interregno della sospensione).
2) La sospensione prosegue fino a quanto il curatore (comma terzo):
a) dichiari di voler subentrare nel rapporto di lavoro (previo parere del Giudice Delegato e sentito il comitato dei creditori)
b) e comunichi ai lavoratori, anche singolarmente, il fatto di voler subentrare, previa comunicazione (che determinerà l’inizio della reviviscenza del rapporto di lavoro).
3) In ogni caso il recesso del curatore, per quanto atto unilaterale recettizio, avrà effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale (comma secondo).
4) Di per sé, come in passato, il recesso verrà comunicato allorquando il curatore abbia contezza del fatto che non sia possibile la prosecuzione dell’esercizio di impresa (perché non autorizzabile o non richiedibile) e non sia possibile procedere al trasferimento anche di un ramo dell’azienda in liquidazione giudiziale, attesa la decozione totale della stessa (o la mancanza di manifestazioni di interesse credibili).
5) Fatta salva una eventuale richiesta di proroga del termine da parte del curatore, la sospensione in trattazione considera un orizzonte temporale di quattro mesi dalla data di apertura della liquidazione giudiziale. Se l’inerzia del curatore si protrae per oltre quattro mesi (quindi non dichiara di subentrare o di recedere formalmente), i rapporti di lavoro subordinato in essere cessano con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale (comma terzo). Viene meno la previsione, disposta dal testo originario della norma, di una conseguenza risarcitoria “automatica” molto simile, come struttura, al c.d. “tutele crescenti” (Legge n°23/2015), evidentemente censurata attese le tematiche costituzionali della norma del 2015.
In suo luogo viene disposta una previsione che recita: “In caso di cessazione del rapporto di lavoro ai sensi del presente articolo non è dovuta dal lavoratore la restituzione delle somme eventualmente ricevute, a titolo assistenziale o previdenziale, nel periodo di sospensione”.
La mente rifugge ad eventuali ammortizzatori sociali conservativi di cui al d.lgs n°148/2015 anche se, sul punto, appare difficile la loro richiesta senza una prosecuzione dell’attività a mezzo dell’esercizio provvisorio, dovendosi applicare ancora le precisazioni della Circolare del Ministero del lavoro n°24 del 2016 (salva l’applicazione della c.d. “cassa per cessata attività” di cui all’art 44 D.L. n°109/2018, rifinanziata anno per anno).
6) Il termine di quattro mesi di sospensione può essere prorogato, su richiesta del curatore o a mezzo di difensore dei singoli lavoratori, al Giudice Delegato, se sussistono elementi concreti (comma quarto):
– per l’autorizzazione all’esercizio dell’impresa;
– o per il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo.
In tal caso il giudice delegato può assegnare al curatore un termine non superiore a otto mesi per assumere le proprie determinazioni. Il termine così concesso decorre dalla data di deposito del provvedimento del giudice delegato, che è immediatamente comunicato al curatore e agli eventuali altri istanti.
Qualora nel termine così prorogato il curatore non procede al subentro o al recesso, i rapporti di lavoro subordinato in essere cessano con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale. Anche in questo caso non è dovuta dal lavoratore la restituzione delle somme eventualmente ricevute, a titolo assistenziale o previdenziale, nel periodo di sospensione.
Dimissioni, contributo Naspi ed accesso agli ammortizzatori
Il quinto comma dell’art 189 non ha subito modifiche.
Volendo riassumere pragmaticamente, si rileva come nel caso in cui il curatore non avesse disposto l’accesso agli ammortizzatori sociali ex d.lgs n. 148/2015 le “eventuali dimissioni del lavoratore nel periodo di sospensione tra la data della sentenza dichiarativa fino alla data della comunicazione di cui al comma 1, si intendono rassegnate per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 del codice civile con effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale” (comma 5 art 189).
Non solo. Deve rilevarsi il testo dell’articolo 190 il quale, al primo comma, ribadisce come “La cessazione del rapporto di lavoro ai sensi dell’articolo 189 costituisce perdita involontaria dell’occupazione ai fini di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 e al lavoratore è riconosciuto il trattamento NASpI a condizione che ricorrano i requisiti di cui al predetto articolo, nel rispetto delle altre disposizioni di cui al decreto legislativo n. 22 del 2015”.
Viene introdotto un comma 1 bis il quale dispone come “i termini per la presentazione della domanda di cui all’articolo 6 del decreto legislativo n. 22 del 2015 (NASpI) decorrono dalla comunicazione della cessazione da parte del curatore o delle dimissioni del lavoratore”.
Se l’impianto normativo appare solido e chiaro, rimangono però aperte delle questioni più applicative e pratiche che è bene esaminare:
– per prima cosa il Curatore non è un datore di lavoro. Chiaramente ne assume il “ruolo” in caso di esercizio provvisorio ma, al di fuori di tale limita circostanza, agisce come “pubblico ufficiale.” (art 127). Attesa giurisprudenza secolare (Cassazione n°9605/1991 o Cassazione n°508/2003) il curatore non agisce mai come rappresentante del fallito nè appare possibile che lo stesso effettui adempimenti riferibili alla società sottoposta a procedura concorsuale.
– Questo significa che, se un dipendente si dimette in assenza di ammortizzatori sociali successivamente alla data di apertura della liquidazione giudiziale, il massimo che il nostro pubblico ufficiale dovrà fare è una comunicazione al centro per l’impiego, ma non di certo dovrà inviare o trasmettere flussi uniemens all’INPS, atto che compete ad un “datore di lavoro”.
– L’Inps non è di questo avviso e, forte di una circolare (n. 46/2023), ritiene che il malcapitato curatore sia “tenuto all’adempimento di denuncia entro e non oltre il termine di adempimento della denuncia successiva a quella del mese in cui il lavoratore ha rassegnato le dimissioni o è intervenuta l’interruzione del rapporto di lavoro per licenziamento o per risoluzione di diritto”. Senza entrare nel merito, basti pensare che si tratta di una circolare, non di una norma di legge;
– Per quanto l’articolo 189 sia stato riformato, manca in tutta la struttura del CCI la previsione di ammortizzatori sociali ad hoc (circostanza prevista dalla fu Legge n. 223/1991 all’articolo 3 che, prima della c.d. Legge Fornero, era obbiettivamente abusato). Ad oggi la cassa integrazione straordinaria è prevista solo in caso di Esercizio Provvisorio e non nel caso in cui vi siano possibilità di vendita degli asset (ivi inclusi i dipendenti) ma senza la possibilità di una prosecuzione con esercizio provvisorio.
L’assenza di un ammortizzatore sociale di “ruolo” è anche spiegabile sia chiaro. Ma chi scrive teme che il futuro che avanza, da alcuni segnali, non sia così roseo da ritenere che con gli strumenti ordinistici (d.lgs n. 148/2015) si possano risolvere questioni occupazionali di imprese decotte o in fase di decozione.
Vedremo chiaramente cosa succederà.
Fonte: Il Sole 24ORE