Trattamento Iva degli enti del Terzo settore (Ets): l’attenzione delle realtà non profit si concentra sui diversi nodi da sciogliere. Un primo aspetto di interesse ai fini Iva riguarda le attività esenti che, a distanza di più di due anni dalla operatività del Registro unico nazionale del Terzo settore (Runts), richiamano formalmente le sole Onlus. Parliamo delle ipotesi previste all’articolo 10 n. 15), 19), 20) e 27 ter) del Dpr 633/1972 (trasporto autoambulanze, ricovero e cura, prestazioni educative e didattiche, socio-sanitarie rese in favore di determinate categorie di soggetti) che solo dopo l’autorizzazione Ue vedranno come destinatari del regime di esenzione gli Ets non commerciali in sostituzione delle Onlus. Un avvicendamento che, ad oggi, appare del tutto superato atteso che queste ultime ormai convivono nel sistema con gli Ets non commerciali, almeno fino alla definitiva soppressione della relativa Anagrafe gestita dall’agenzia delle Entrate. In tal senso, stando almeno al tenore letterale dell’articolo 10, alcune prestazioni (come quelle socio-sanitarie, di ricovero o cura) continuano a considerarsi esenti ai fini Iva per le sole Onlus, senza tener conto del fatto che già molte realtà dotate di tale qualifica hanno fatto il loro accesso nel Runts trovandosi in alcuni casi a non poter più beneficiare del regime di esenzione. Un equivoco che andrebbe risolto tenuto conto di alcune considerazioni di ordine sistematico.
La prima è che l’immediato inserimento all’articolo 10 degli Ets non commerciali, insieme alle Onlus, consentirebbe alle tante realtà non profit che svolgono attività particolarmente rilevanti in questa fase storica (pensiamo all’assistenza socio sanitaria) di gestire con minore incertezza la propria operatività in merito al mantenimento del regime di esenzione.
Dall’altro va considerato che, a ben vedere, l’indicazione di alcuni profili soggettivi, come la qualifica di Onlus oppure quella di Ets, potrebbe essere del tutto superata tenuto conto della prevalenza, ai fini dell’accesso al regime di esenzione, del criterio oggettivo legato all’attività concretamente svolta. Il riferimento allo status soggettivo dell’ente, infatti, molto spesso ha portato la prassi ad escludere ad esempio le imprese sociali dalla possibilità di fruire dell’esenzione Iva nel settore socio-sanitario (risposta 475/2021). Un ragionamento restrittivo che si pone, invece, in contrapposizione con quanto rilevato dalla Corte di giustizia (causa C 498/03) secondo cui l’ente avente “finalità di assistenza sociale” beneficia del regime di esenzione in base al proprio ambito oggettivo di operatività a prescindere dalla sua natura soggettiva (imprenditoriale o non commerciale). Considerando, quindi, ai fini dell’esenzione lo status dell’ente si rischia di vedere le imprese sociali assoggettate al regime Iva ordinario con aliquota al 22 per cento. E proprio con riferimento a tale questione occorrerebbe garantire maggiore omogeneità nel trattamento Iva consentendo definitivamente di sciogliere gli equivoci interpretativi menzionati in precedenza. In tal senso, potrebbe essere valutata l’armonizzazione del regime Iva delle imprese sociali con quello già previsto per le cooperative prevedendo l’applicazione, anche per tali realtà, dell’aliquota Iva del 5% per le prestazioni socio-sanitarie e socio assistenziali svolte nei confronti delle specifiche categorie di soggetti indicate al n. 27-ter) dell’articolo 10, comma 1.
Questo al fine di non creare una disparità di trattamento che finirebbe per trasformare il diverso regime Iva nel criterio prevalente, se non l’unico, alla base della scelta tra le varie forme e qualifiche giuridiche con cui operare nell’ambito dei modelli imprenditoriali del terzo settore.
Un quadro Iva, dunque, da aggiornare in considerazione della necessità di adeguare le norme interne ai nuovi scenari che hanno modificato il novero dei soggetti impegnati nelle attività più sensibili a favore della collettività e per le quali la direttiva europea ha volutamente ritenuto di riservare un trattamento Iva più favorevole.