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L’Iva non detratta tempestivamente passa dall’integrativa a favore

Resta lo scoglio dell’applicazione della sanzione

Con la risposta a interpello 479/2023, l’agenzia delle Entrate conferma la possibilità per il cessionario/committente, che ha omesso l’esercizio del diritto alla detrazione Iva, di recuperare l’imposta tramite dichiarazione integrativa a favore ai sensi dell’articolo 8, comma 6–bis, Dpr 322/1998; rimane irrisolta però la questione delle sanzioni applicabili nel caso in cui la detrazione non tempestiva delle fatture ricevute sia conseguenza della tardiva registrazione delle stesse.

La fattispecie esaminata

Nel caso esaminato dalla risposta citata, l’istante riferisce di aver annotato nei propri registri Iva, relativi al periodo di imposta 2021, alcune fatture passive intestate a proprio nome ma di competenza della società Beta, ovvero la società alla quale l’istante aveva trasferito – a seguito di un’operazione straordinaria di scissione avvenuta nel corso dello stesso anno 2021 – un ramo di azienda.

Considerato che la società aveva erroneamente registrato e conseguentemente detratto l’Iva relative alle fatture passive ricevute a proprio nome ma di competenza di Beta, ed essendosi accorta dell’errore in tempo (i.e. prima ancora di aver trasmesso all’agenzia delle Entrate la dichiarazione Iva per l’anno 2021), nell’aprile 2022, al fine di ravvedere la propria posizione Iva, la società istante provvedeva a sanare la violazione commessa pagando le sanzioni dovute tramite l’istituto del ravvedimento operoso e riversando l’Iva indebitamente detratta all’Erario.

Successivamente, alla presentazione della dichiarazione Iva per l’anno 2021, l’istante si accorgeva che tra le fatture oggetto di ravvedimento aveva erroneamente incluso anche tre fatture correttamente intestate all’istante e per le quali, pertanto, aveva erroneamente riversato l’Iva all’Erario con il ravvedimento operoso, pur avendo diritto alla detrazione.

Tale errore aveva comportato l’esclusione delle tre fatture dalla dichiarazione Iva presentata per l’anno 2021 e conseguentemente l’omesso esercizio del diritto alla detrazione dell’Iva.

Alla luce di tali premesse, l’istante interpellava l’agenzia delle Entrate al fine di comprendere se e con quali modalità fosse possibile recuperare l’Iva riversata per errore all’Erario.

I chiarimenti dell’agenzia delle Entrate

Nel fornire la propria risposta, l’agenzia delle Entratepreliminarmente richiama le regole generali di registrazione delle fatture passive e di detrazione in tema di Iva, chiarendo che, ai sensi dell’articolo 19 del Dpr 633/1972, il cessionario/committente può detrarre l’Iva relativa alle fatture ricevute:

(i) previa annotazione delle stesse nei propri registri Iva ai sensi dell’articolo 25 del Dpr 633/1972 

(ii) (dal momento in cui l’imposta diventa esigibile (i.e. dal momento in cui le operazioni si considerano effettuate ai fini Iva ex articolo 6 del Dpr 633/1972) e

(iii) non oltre il termine di presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno d’imposta in cui ha ricevuto tali fatture.

Tuttavia, successivamente, viene precisato che, se il cessionario/committente omette di esercitare il diritto alla detrazione Iva entro il predetto termine, debba comunque essere riconosciuta al contribuente, in virtù del principio di neutralità dell’Iva e dei chiarimenti già forniti con la circolare 1/E/2018 (cfr. par. 4), la possibilità di recuperare l’imposta non detratta (pur avendone diritto) presentando la dichiarazione integrativa di cui all’articolo 8, comma 6-bis, Dpr 322/1998, con la quale, in linea generale, è possibile correggere errori od omissioni che hanno determinato l’indicazione di un maggiore imponibile, di un maggiore debito d’imposta o di una minore eccedenza, non oltre i termini stabiliti dall’articolo 57 del Dpr 633/1972 (i.e. entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione originaria).

È stata così riconosciuta all’istante la possibilità di recuperare l’Iva, relativa alle tre fatture ravvedute per errore, previa trasmissione della dichiarazione integrativa a favore entro il quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione originaria. Sul punto, l’Agenzia ha ulteriormente precisato che nessuna sanzione sarà dovuta dall’istante nel caso di specie, considerato che le fatture di acquisto non detratte tempestivamente erano “regolari e ritualmente registrate”.

Tale inciso sembrerebbe, dunque, confermare, a contrariis, quanto già chiarito dall’Agenzia con la citata circolare 1/2018 (si veda inciso “Restano fermi, in ogni caso, (…) l’applicabilità delle sanzioni per la violazione degli obblighi di registrazione previste dal richiamato articolo 6”), ovvero che, se il ritardo nell’esercizio del diritto alla detrazione Iva delle fatture ricevute, è conseguenza di una irregolare o irrituale registrazione delle stesse, è applicabile la sanzione prevista in caso di violazione degli obblighi di registrazione di cui all’articolo 6 del Dlgs 471/1997 (di seguito anche «art. 6»).

Più in particolare, la formulazione utilizzata dall’Agenzia nel documento di prassi citato sembrerebbe suggerire l’applicazione del comma 1 dell’articolo 6 in commento in virtù del quale «chi viola gli obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione di operazioni imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ovvero all’individuazione di prodotti determinati è punito con la sanzione amministrativa compresa fra il novanta e il centoottanta per cento dell’imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell’esercizio. Alla stessa sanzione, commisurata all’imposta, è soggetto chi indica, nella documentazione o nei registri, una imposta inferiore a quella dovuta. La sanzione è dovuta nella misura da euro 250 a euro 2.000 quando la violazione non ha inciso sulla corretta liquidazione del tributo».

Ne deriva che se, da un lato, è riconosciuta al contribuente la possibilità di recuperare l’Iva non detratta, integrando la dichiarazione originariamente presentata, dall’altro, esso sarebbe soggetto a una sanzione.

Pare criticabile la previsione di una sanzione per il mancato esercizio di un diritto: risulta infatti difficile individuare una violazione in considerazione del fatto che la mancata registrazione nella contabilità Iva di una fattura passiva non solo non è prodromica ad alcun tipo di evasione, non incidendo, se non pro-contribuente sulla base imponibile, ma anche non ha alcun potere di ostacolare l’attività di controllo (sul punto si veda l’articolo 10, comma 3, della legge 212/2000 e l’articolo 6, comma 5-bis del Dlgs 472/1997).

Volendo accogliere la criticabile tesi dell’agenzia delle Entrate volta a sanzionare tale comportamento, la sanzione non può che essere quella “formale” da 250 a 2.000 euro non incidendo, se non potenzialmente pro-contribuente, sulla liquidazione del tributo.

Ipotizzare una sanzione parametrata all’imposta versata in eccesso per via del mancato esercizio del diritto alla detrazione, in mancanza di un danno erariale e di indizi di frode, sarebbe paradossale e in violazione dei principi unionali di proporzionalità e ragionevolezza (cfr. sul punto Conclusioni dell’Avvocato generale Kokott della Cgue alla causa C-712/17 EN.SA. Srl, punto 54, e giurisprudenza ivi citata nonché la sentenza della Cgue, causa C-935/19). Saremmo dunque di fronte a una sanzione proporzionata alla maggiore imposta versata.

In virtù di tali dubbi interpretativi, si auspica un chiarimento da parte dell’agenzia delle Entrate.

 

Fonte: Il Sole 24ORE

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