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Fusioni intracomunitarie con perdite a utilizzo vincolato

Il regime di neutralità si applica alle riorganizzazioni in entrata che a quelle in uscita in cui la società residente ricopre il ruolo di società incorporata

Con l’entrata in vigore del Dlgs 19/2023, l’ordinamento italiano ha recepito la diirettiva 2019/2121/Ue innovando la disciplina delle operazioni straordinarie intracomunitarie.

Il provvedimento interviene sulla disciplina civilistica e procedimentale, ma non prevede modifiche in merito al regime fiscale delle operazioni straordinarie intracomunitarie. Pertanto, ai fini fiscali, risulta ancora valida la normativa disposta dalla Direttiva 90/434/CE, (c.d. «Direttiva Riorganizzazioni»). Tale normativa ha introdotto un regime fiscale comune per le operazioni di fusione, scissione, conferimento e scambio di partecipazioni alle quali partecipano soggetti residenti in (almeno) due diversi Stati membri (c.d. «riorganizzazioni intracomunitarie») stabilendo un generale principio di neutralità fiscale.

Nell’ordinamento domestico la normativa comunitaria è stata dapprima recepita dal Dlgs 544/1992 e successivamente trasfusa all’interno del Titolo III, Capo IV, del Tuir, rubricato «Operazioni straordinarie fra soggetti residenti in Stati membri diversi dell’Unione Europea» che ricomprende gli articoli da 178 a 181.

La disciplina delle riorganizzazioni intracomunitarie si applica alle fusioni poste in essere tra società appartenenti agli Stati membri che rivestono una delle forme previste dalla normativa comunitaria e che, secondo la normativa di uno Stato membro, si considerano domiciliate ai fini fiscali in tale Stato membro, con esclusione di quelle società che, in virtù di accordi convenzionali contro le doppie imposizioni risultino residenti fiscalmente in un Paese extracomunitario. È previsto, inoltre, l’assoggettamento delle società ad una delle imposte indicate sempre dalla normativa comunitaria.

Con specifico riferimento ai soggetti italiani, la disciplina in esame si applica alle società di capitali (costituite sotto forma di società per azioni, società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata), società cooperative, società di mutua assicurazione, nonché agli enti commerciali (pubblici e privati) soggetti ad Ires.

In caso di fusione con concambio, l’articolo 178, comma 1, lettera a) del Tuir prevede che l’eventuale conguaglio in denaro riconosciuto ai soci delle società partecipanti non deve superare il 10% del valore nominale della partecipazione ricevuta.

In virtù della lettera d), comma 1 del citato articolo 178, sono incluse le fusioni «estero su estero», ossia fusioni tra soggetti comunitari non residenti nel territorio dello Stato, con conseguente aggregazione delle rispettive stabili organizzazioni in Italia. In ogni caso, affinché si possano applicare gli artt. 178 e ss. del Tuir, è necessario che le società coinvolte nella fusione siano residenti in Stati membri diversi.

Ai sensi dell’articolo 179, comma 1 del Tuir, per le operazioni di fusione che coinvolgono società italiane (nel rispetto dei requisiti sopra riepilogati), trova applicazione il principio di neutralità e di continuità dei valori fiscali sancito in materia operazioni domestiche dell’articolo 172 del Tuir. Tale regime si applica sia alle «riorganizzazioni in entrata», in cui la società residente riveste il ruolo di società incorporante, sia alle «riorganizzazioni in uscita”, in cui la società residente ricopre il ruolo di società incorporata.

Quando la società incorporante è residente in Italia, non sono previste condizioni per l’applicazione del regime di neutralità, posto che non vi è alcun pericolo di fuoriuscita di elementi patrimoniali dalla potestà impositiva dello Stato italiano. Al contrario, gli elementi aziendali dell’incorporata non residente confluiscono nell’incorporante italiana, entrando nel sistema impositivo italiano, ed agli stessi verrà attribuito un valore d’ingresso secondo le previsioni dell’articolo 166-bis del Tuir, basato sul valore di mercato.

Quando, invece, la società residente in Italia è l’incorporata, la fusione potrebbe comportare l’uscita degli elementi aziendali dalla sfera impositiva italiana; di conseguenza, la neutralità è consentita solamente a condizione che gli elementi patrimoniali della società italiana incorporata confluiscano in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato italiano ex articolo 162 del Tuir. Diversamente, l’incorporata italiana dovrà considerare realizzati a valore normale tutti i componenti del complesso aziendale (compreso l’avviamento) trasferiti alla società incorporante non residente.

Con riferimento alla posizione dei soci delle società coinvolte nell’operazione, l’articolo 179, comma 4 del Tuir dispone espressamente che le fusioni intracomunitarie non determinano alcun realizzo di plusvalenze (o minusvalenze) sulle azioni o quote concambiate con le azioni o quote della società incorporante; il valore fiscale di carico delle azioni o quote oggetto di concambio deve essere traslato sulle azioni o quote ricevute. Si applicano, in sostanza, i medesimi criteri previsti dalla normativa sulle operazioni domestiche, la quale prevede:

  • l’irrilevanza tributaria dell’operazione di concambio (intesa come non realizzo di plusvalori o minusvalori sulle azioni o quote concambiate);
  • la trasposizione del valore fiscalmente riconosciuto alle azioni o quote ricevute in concambio;
  • la rilevanza fiscale del solo (eventuale) conguaglio in denaro, quale unica forma di realizzo.

 

Unica eccezione al criterio di neutralità fiscale in capo ai soci è rappresentata dall’ipotesi di percezione di un conguaglio in denaro; in tal caso, infatti, il conguaglio in denaro che, come previsto dai criteri definiti dall’articolo 178 del Tuir, è quantitativamente limitato al 10% del valore nominale delle azioni o quote assegnate in concambio, concorre alla formazione del reddito dei soci percettori.

Con riferimento al regime delle riserve in sospensione d’imposta, la norma di rifermento è l’articolo 180 del Tuir. La disposizione si applica ai casi «riorganizzazione in uscita», con incorporata residente che si fonde con una società non residente e prevede, come per le fusioni domestiche, il mantenimento del vincolo di sospensione in capo alla società incorporata residente, a condizione che le riserve vengano ricostruite (con apposite scritture contabili) nella contabilità della stabile organizzazione in Italia della società incorporante non residente.

Infine, l’articolo 181 del Tuir disciplina il regime delle perdite fiscali (nonché delle altre posizioni soggettive quali eccedenze di interessi indeducibili) sempre in caso di «riorganizzazione in uscita». In particolare, le perdite fiscali maturate dall’incorporata residente, sono ammesse in deduzione da parte dell’incorporante non residente alle seguenti condizioni:

  • in proporzione alla differenza tra gli elementi dell’attivo e del passivo effettivamente connessi alla stabile organizzazione sita nel territorio dello Stato risultante dall’operazione e nei limiti di detta differenza;
  • nei limiti di cui all’articolo 172, comma 7 del Tuir (limite del patrimonio netto e della vitalità economica).

 

La prima condizione consente al soggetto non residente di utilizzare le perdite in proporzione al patrimonio che è effettivamente confluito nella stabile organizzazione.

La seconda condizione, invece, che richiama i limiti di cui all’articolo 172, comma 7 del Tuir, rileva soltanto qualora il soggetto non residente possedesse già una stabile organizzazione prima dell’operazione; in questo caso, infatti, si rende necessario confrontare i patrimoni delle stabili organizzazioni come se fossero due società distinte.

Come sopra esposto, la disciplina del riporto delle perdite delle fusioni intracomunitarie riguarda le «riorganizzazione in uscita» in cui la società incorporante è non residente. Nulla è previsto, invece, per le «riorganizzazione in entrata» con riferimento alla possibilità per l’incorporante italiana di utilizzare le perdite fiscali maturate dall’incorporata estera. In proposito, segnaliamo che la Legge Delega di Riforma Fiscale, L. 111/2023 all’articolo 6, comma1, lettera e) numero 4) prevede una revisione del regime delle perdite fiscali nel contesto di operazioni straordinarie, con l’obiettivo di definire le perdite maturate da soggetti esteri riportabili in capo a società residenti, secondo i principi espressi dalla giurisprudenza dell’Unione Europea.

La Corte di Giustizia è stata più volte chiamata a pronunciarsi sul tema e ha individuato alcune condizioni che permettono di qualificare le perdite di una società controllata non residente come «definitive» e, quindi, deducibili dal reddito della società controllante residente. In particolare, al fine di qualificare una perdita come «definitiva» è necessario che l’impresa stabilita nell’altro Stato membro abbia terminato le proprie attività commerciali attraverso l’eliminazione di tutti i propri asset produttivi, e che la medesima società non possa essere ceduta a terzi nell’ambito di una compravendita il cui prezzo tenga conto del valore fiscale delle perdite.

Nella fusione per incorporazione di una società non residente in una società residente in Italia, in certi casi, le condizioni per qualificare le perdite fiscale dell’incorporata non residente come definitive potrebbero risultare sussistenti.

Si pensi al caso in cui l’incorporata non residente non abbia mantenuto una stabile organizzazione nello estero di residenza, «trasferendo» l’intero complesso aziendale all’incorporante italiana, con conseguente realizzo a valore normale.

Le perdite fiscali pregresse sarebbero utilizzate dall’incorporata non residente per compensare il valore di realizzo del complesso aziendale trasferito, ma l’eventuale importo residuo non potrebbe essere in alcun modo compensato, né riportato in avanti. In altre parole, venendo meno la stabile organizzazione estera, le perdite fiscali residue dovrebbero qualificarsi come definitive, non essendo utilizzabili nello Stato estero in cui sono state prodotte.

In base ai principi della Corte di Giustizia Europea sopra richiamati, tali perdite dovrebbero poter essere riportabili dall’incorporante residente. Si consideri, peraltro, che la possibilità per l’incorporante residente di riportare le perdite residuali e inutilizzabili maturate dall’incorporante non residente, risulta coerente con l’impostazione espressa dalla stessa Agenzia delle Entrate nei casi di società estere che trasferiscono la sede in Italia.

Fonte: Il Sole 24ORE

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