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Iva, mini ritocchi aspettando riforma fiscale e direttiva Ue

Stop da gennaio alle aliquote ridotte su prodotti per l’infanzia, l’igiene femminile e il gas. Il riassetto generale è in stand by.

Nella corsa per l’attuazione della riforma fiscale, l’Iva per ora è ferma ai box. La bozza consegnata dagli esperti al ministero dell’Economia ormai quattro mesi fa (20 settembre) è stata sorpassata in Consiglio dei ministri da altri provvedimenti: dal decreto sull’Irpef fino a quello che modifica lo Statuto del contribuente. Dalla legge di Bilancio e dal decreto Anticipi, intanto, sono arrivati solo pochi ritocchi alle aliquote dell’imposta sul valore aggiunto. Mentre gli ultimi dati – aggiornati a novembre – proiettano il gettito Iva per il 2023 verso un nuovo record: circa 175 miliardi rispetto ai 171 del 2022. Con un incremento dovuto esclusivamente all’imposta sugli scambi interni, che registra una crescita su base annua quasi allineata all’inflazione: +5,2% contro il +5,7% dei prezzi al consumo rilevato dall’Istat (variazione media 2023 dell’indice Nic).

L’agenda dell’attuazione

Posto che la legge dà al Governo 24 mesi di tempo per attuare la riforma (fino a fine agosto 2025), la priorità adesso è approvare in via definitiva il decreto delegato sull’accertamento, che contiene anche le norme sul “patto” tra Fisco e contribuenti: il concordato preventivo biennale, rispetto al quale le commissioni parlamentari di Camera e Senato hanno chiesto diverse modifiche nei propri pareri. Il testo sarà in Consiglio dei ministri nei prossimi giorni. Subito dopo toccherà ai decreti sulle sanzioni e sulla riscossione – che devono ancora ricevere il primo via libera da parte del Governo – mentre in un momento successivo, probabilmente da febbraio, sarà la volta dei decreti sulla disciplina sostanziale dei diversi tributi.

A favore dell’Iva gioca il fatto che le norme messe a punto dagli esperti non comportano oneri per le casse pubbliche. I tecnici, infatti, sono intervenuti su aspetti applicativi che da anni – e a volte decenni – attendono di essere razionalizzati o allineati alle direttive europee, come la non imponibilità delle operazioni, l’esigibilità e la detrazione dell’imposta.

Gli esperti non hanno preso posizione, invece, sulla modifica delle aliquote Iva – dove anche un piccolo ritocco può spostare miliardi di euro – perché in questo caso i princìpi fissati dalla legge delega andranno raccordati con i paletti della direttiva 2022/542/Ue, che sarà applicabile dal 1° gennaio 2025.

Paletti Ue e scelte in manovra

Proprio in tema di assetto del prelievo, la legge delega (articolo 7) prevede di «razionalizzare il numero e la misura delle aliquote dell’Iva secondo i criteri posti dalla normativa dell’Unione europea» con l’obiettivo di rendere più omogeneo il trattamento di «beni e servizi similari», tenendo conto anche delle «esigenze di maggiore rilevanza sociale».

In questo scenario, la direttiva mette alcuni punti fermi: un’aliquota Iva ordinaria di almeno il 15%; due aliquote ridotte non inferiori al 5%; un’aliquota minima sotto al 5%; un’esenzione con aliquota zero. Le aliquote ridotte – dice ancora la Ue – dovrebbero favorire in particolare la transizione ecologica e digitale, oltre alla protezione della salute.

Se l’obiettivo della riforma è trattare in modo omogeneo beni e servizi similari, le modifiche arrivate con la legge di Bilancio 2024 non vanno in quella direzione. I prodotti per la prima infanzia ad esempio (latte e preparazioni alimentari per lattanti) sono tornati dal 1° gennaio ad avere l’Iva al 10% anziché al 5%, così allontanandosi da altri beni come il latte, che invece hanno l’aliquota al 4 per cento.

Una marcia indietro rispetto all’anno scorso si è avuta anche per i prodotti destinati all’igiene intima femminile, anche questi passati dal 5 al 10 per cento.

Gettito oltre i livelli pre-Covid

A complicare il restyling delle aliquote che il Governo dovrà affrontare c’è la dinamica eccezionale dei prezzi degli ultimi anni.

L’inflazione del 2022-23 deriva per lo più da uno shock esterno (il rincaro delle materie prime) e non da un boom dell’economia. Ma ciò non toglie che il caro prezzi abbia avuto un impatto sensibile anche sull’Iva: rendendo necessario ridurre al 5% l’aliquota sul gas e spingendo il gettito complessivo dell’imposta ben al di sopra dei livelli pre-Covid (saranno almeno 30 miliardi in più nel 2023 rispetto al 2019, anche se il dato di dicembre dovesse rivelarsi inferiore alle attese).

La mancata conferma per il 2024 dell’aliquota ridotta sul gas metano (che quindi torna al 10 o al 22% a seconda dei casi) si spiega con la normalizzazione delle sue quotazioni. Mentre la manovra, con un altro mini-ritocco, ha mantenuto l’Iva al 10% per il pellet – in linea con la legna – fino a fine febbraio.

Fonte: Il Sole 24ORE

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