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False dichiarazioni: l’amministratore anche se prestanome, ne risponde

L'accettazione della carica societaria attribuisce doveri di vigilanza, il cui mancato rispetto comporta responsabilità in ambito penale.

La sottoscrizione delle dichiarazioni fiscali, da parte del socio amministratore, presuppone la conoscenza e il controllo dell’attività della società, in quanto le stesse attività costituiscono il nucleo centrale delle funzioni di amministratore. È questo il principio posto dai giudici di legittimità con la sentenza penale n. 46834 del 22 novembre 2023. Per i giudici, in tema di reati tributari, l’amministratore di una società risponde del reato omissivo contestatogli quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto. Questo perché la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso amministratore doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, ovvero a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino.


La questione controversa
La controversia in commento origina dall’imputazione di un socio amministratore di una srl, per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2, Dlgs n. 74/2000).
La Corte di appello di Milano, giudicando in sede di rinvio disposto dalla terza sezione della Corte di cassazione, in parziale riforma della sentenza emessa dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, dichiarava il socio amministratore di una srl responsabile del reato in argomento, limitatamente al periodo decorrente dal 1° gennaio 2016 al 2017 e, di conseguenza, rideterminava la pena in mesi otto di reclusione, confermando le pene accessorie e la confisca, e concedendo il beneficio della non menzione.

La terza sezione della Cassazione, investita del ricorso dell’imputato avverso la pronuncia resa dalla Corte di appello di Milano, riteneva fondato il motivo di impugnazione, che denunciava la violazione di legge e la illogicità della motivazione, nella misura in cui questa era indistintamente incentrata sulla qualità di socio di maggioranza dell’imputato, senza alcuna disamina dei concreti ruoli assunti negli anni all’interno della srl. La Corte suprema, in particolare, precisava che non è indifferente, con riguardo al reato contestato, il ruolo rivestito rispetto alle varie dichiarazioni fiscali che vengano in rilievo, e quindi il coefficiente di prova necessario. In tale quadro, riteneva viziata, in assenza dell’individuazione di ruoli specifici e condotte concrete, la decisone dei giudici di appello.
Avverso la sentenza del giudizio rescissorio, l’imputato socio amministratore proponeva ricorso, lamentando l’illogicità della motivazione e la violazione dell’articolo 627, comma 3, del codice di procedura penale, in relazione alla sussistenza o meno dell’elemento soggettivo del reato, ricordando come nel giudizio penale non fosse sufficiente accertare l’effettiva inesistenza delle operazioni documentate in modo non veritiero, dovendo piuttosto risultare come quell’inesistenza non fosse soltanto conosciuta ma fosse stata posta al servizio del risultato favorevole che si intendeva ottenere con la dichiarazione.

La decisione della Cassazione
Con la sentenza in commento, i giudici di legittimità confermano la correttezza della decisione presa dalla Corte territoriale, con particolare riferimento al fatto che il ruolo di socio di maggioranza amministratore, rivestito dall’imputato, implica la sua responsabilità nei confronti dei terzi per le attività svolte personalmente, o comunque a lui riconducibili, tra le quali si annoverano tutti gli atti di gestione diretta ovvero delegata, comprese quindi anche le dichiarazioni fiscali.

I giudici affermano che la sottoscrizione delle dichiarazioni fiscali presuppone la conoscenza e il controllo dell’attività della società da parte del socio amministratore. Costituendo tali attività il nucleo centrale delle funzioni di amministratore. Soltanto nell’ipotesi in cui la gestione della società sia di fatto svolta da altri, la figura dell’amministratore potrà essere ricondotta a quella di un prestanome dell’attività di gestione, sempre che venga dimostrato da colui che ricopre la veste di garante nei confronti dei terzi o che emerga comunque dalle risultanze processuali, che l’ingerenza del terzo fosse tale da esautorare completamente l’amministratore di diritto, rimasto completamente ignaro delle attività fraudolente. Pertanto, in tema di reati tributari, l’amministratore di una società risponde del reato omissivo contestatogli quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo.

Considerazioni
Con la pronuncia in esame, i supremi giudici penali ritengono, che le statuizioni inerenti al funzionamento del meccanismo fraudolento, penalmente rilevante e, quindi, l’indicazione di elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni fiscali – che si perfezionava con la sottoscrizione delle stesse – sia stato definitivamente accertato in via giurisdizionale, avendo la sentenza rescindente annullato quella di appello unicamente in relazione al fatto che la motivazione risultava incentrata indistintamente sulla qualità di socio di maggioranza del medesimo, senza alcuna disamina dei concreti ruoli assunti negli anni all’interno della società a responsabilità limitata. A detta dei giudici, quindi, occorre avere riguardo al profilo di amministratore unico e alla relativa posizione di garanzia. Nel caso in commento, l’imputato aveva rivestito un diverso ruolo nell’arco dell’orizzonte temporale interessato dal provvedimento gravato: sino al 2015, infatti, egli era socio di maggioranza di una società a responsabilità limitata, amministrata dal padre, assumendo la carica di amministratore a partire dal gennaio dell’anno successivo.
Per i supremi giudici trattasi di affermazione conforme al consolidato orientamento ermeneutico secondo il quale, in tema di reati tributari, l’amministratore di una società risponde del reato omissivo contestatogli (nella specie emissione di fatture per operazioni inesistenti) quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, ovvero a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (cfr Cassazione n. 42897/2018).

Come già visto, la centralità del ruolo dell’amministratore di una srl, soggetto di diritto preposto alla sottoscrizione delle dichiarazioni fiscali, determina la “necessaria” conoscenza e controllo dell’attività della società. Grava in capo all’amministratore di diritto, quindi, l’onere di dimostrare che di fatto l’attività gestoria della società venisse svolta da altra persona, nel caso di specie dalla moglie dell’imputato, e che egli non avesse assunto neppure le doverose informazioni in merito a tale gestione e quindi allo svolgimento dell’attività oggetto delle fatturazioni. Nel caso concreto, questa circostanza, afferma la Corte del merito, non è stata in nessun modo valorizzata in giudizio dall’imputato. Al contrario, l’imputato risultava essere amministratore e socio di maggioranza della srl e, in quanto tale, godeva della maggior parte degli introiti illeciti.

In conclusione, la Corte di appello riteneva giustamente decisiva sul punto l’assenza di ogni allegazione da parte dell’imputato, che al riguardo non ha mai ritenuto di rendere dichiarazioni, di spiegare quale fosse il suo ruolo, come mai si fidasse ciecamente della moglie, sottoscrivendo, senza alcuna verifica le dichiarazioni fiscali in qualità di responsabile nei confronti di terzi, proprio perché amministratore, quale effettivo vantaggio ne traesse sua moglie, dal momento che il titolare della maggioranza delle quote era lui. In ragione del quadro probatorio, adeguatamente richiamato dalla sentenza impugnata, la Corte territoriale riteneva dunque che l’imputato, già socio di maggioranza, aveva assunto la carica di amministratore con pieni poteri, dato l’interesse diretto e rilevante a gestire direttamente ciò che era suo.

Fonte: Il Sole 24ORE

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