L’agenzia delle Entrate, in risposta a un puntuale e tempestivo quesito posto dal Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, risolve il dubbio relativo all’acconto di imposta sostitutiva sulla rivalutazione del trattamento di fine rapporto che deve essere versato dalle aziende entro il 18 dicembre 2023 (si veda Nt plus lavoro del 27 novembre 2023).
In questi giorni i datori di lavoro e i loro consulenti avevano manifestato perplessità in merito al fatto che, calcolando l’acconto di imposta sostitutiva, con entrambi i metodi consentiti (storico o previsionale), si sarebbe generato un credito molto alto al momento del conteggio definivo dell’imposta dovuta per l’anno in corso, verifica effettuabile solo dopo la pubblicazione del coefficiente di rivalutazione definitivo.
I tecnici dell’Agenzia, accogliendo la soluzione prospettata dall’istante nella domanda, hanno ritenuto valido il principio secondo cui l’acconto possa essere calcolato sulla base della rivalutazione che, presumibilmente, sarà accantonata al fondo Tfr nel 2023, in deroga ai classici metodi utilizzati, che prevedono l’uso della rivalutazione definitiva dell’anno precedente, in questo caso quella del 2022. Come evidenziato nella risoluzione, il coefficiente del 2022 è stato pari a 9,974576, mentre il valore di quest’anno applicabile fino al 14 ottobre è 1,822970.
Una soluzione sicuramente apprezzabile che, tuttavia, presenta, un lato forse non molto condiviso dai contribuenti. Infatti, l’Agenzia nella risoluzione 68/2023, afferma che, nell’ipotesi in cui l’acconto calcolato presuntivamente dovesse essere inferiore a quello risultante a seguito dell’applicazione del coefficiente effettivo di rivalutazione del Tfr, allora si configurerebbe il caso di un insufficiente versamento con applicazione della relativa sanzione, ma con possibilità di regolarizzazione tramite il ravvedimento operoso.
Da rilevare che se non fosse intervenuta la risoluzione, in presenza di crediti superiori a 5.000 euro si sarebbe creata una doppia difficoltà per i consulenti e le aziende. In tal caso, infatti, il recupero sarebbe slittato alla fine del 2024, dopo l’inoltro telematico della dichiarazione riportante il credito, vale a dire il modello 770/24 relativo all’anno di imposta 2023. Il secondo ostacolo sarebbe stato costituito dalla necessità di corredare la dichiarazione di visto di conformità. Va da sé che tale ulteriore adempimento avrebbe comportato un costo aggiuntivo per i datori di lavoro. Si sarebbe così verificata una bizzarria in quanto le aziende, oltre ad anticipare ingenti somme all’atto pratico non dovute, avrebbero atteso un considerevole lasso di tempo per il relativo recupero con oneri aggiuntivi.
L’intervento dell’Agenzia, con circa dieci giorni di anticipo rispetto alla scadenza del 18 dicembre, si auspica possa consentire alle case di software di intervenire per adattare gli algoritmi delle procedure di elaborazione delle paghe in tempo utile.
Fonte: Il Sole 24ORE