Uno dei primi decreti legislativi approvati dal Consiglio dei ministri, e che quindi dovrebbe/potrebbe avere effetto dal 1° gennaio prossimo, riguarda le disposizioni relative allo Statuto dei diritti del contribuente.
La legge istitutiva – numero 212/2000 – prevede all’ articolo 11 la disciplina dell’interpello, rivisitata dal 1° gennaio 2016 da un decreto legislativo che ha dato effetto normativo alla legge 23 dell’11 marzo 2014, la cui rubrica parla di delega al governo “per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”. Parole che ricorrono da sempre in tutte le disposizioni, ma che non sempre raggiungono l’obiettivo dichiarato.
Una delle nuove norme, che ha suscitato un misto di stupore e perplessità, riguarda le persone fisiche e i contribuenti di minori dimensioni, cioè in contabilità semplificata: potranno ricorrere alla vera e propria procedura di interpello alle sole ipotesi in cui non è possibile ottenere risposte scritte mediante servizi di interlocuzione rapida, realizzati anche attraverso l’utilizzo di tecnologie digitali e di intelligenza artificiale.
L’intelligenza artificiale è oggi un termine usato e abusato, e comunque ha l’aria di essere una scoperta recente. Così non è per l’informatica giuridica: il sottoscritto è stato correlatore nel 1988, cioè 35 anni fa, di una tesi di laurea – ovviamente come esperto giuridico e non come informatico – all’Università statale di Milano, relativa al linguaggio PROLOG, tuttora utilizzato.
Dati i tempi, e il lavoro finalizzato alla conclusione del corso universitario, questa tesi ha impostato un’analisi relativa ai primi dieci articoli della legge Iva, anche in considerazione degli strumenti di hardware, allora limitati a pochi megabytes di struttura operativa e/o di archivio.
Questa tesi è stata presentata lo stesso anno in una relazione al terzo convegno nazionale sulla programmazione logica ed è interessante perché troviamo riferimenti bibliografici, già risalenti al 1982, sui sistemi di intelligenza artificiale per l’informazione legale. Chi volesse consultare questo documento (clicca qui) troverà le nozioni di “meta interprete” e di “meta programmazione”, come acquisizione interattiva di dati e spiegazione delle conclusioni.
Il tema dell’intelligenza artificiale applicato alla pratica forense forma oggetto di una rubrica periodica sul Sole 24 Ore. L’ultimo intervento del 15 novembre scorso classifica gli strumenti a disposizione in tre macrocategorie. La prima richiede un lavoro di revisione più complesso del totale lavoro umano; la seconda è abbastanza elementare e generica, avendo a oggetto il confronto di due documenti per evidenziare le modifiche o la traduzione automatica. È quello che avviene con gli atti europei, che sono “pensati” per lo più in inglese (in francese per la Corte di Giustizia), vengono tradotti da un computer e sono poi sottoposti alla revisione di un esperto, di regola proveniente dal Paese la cui lingua viene esternata.
La terza categoria, che dovrebbe essere quella ipotizzata dalla legge delega, comprende strumenti estremamente utili per la professione, in grado non solo di sveltire notevolmente il lavoro intellettuale, ma anche di fornire suggerimenti volti a migliorarne l’aspetto qualitativo. Sono queste le tecnologie realmente rivoluzionarie: non meri mezzi che richiedono la costante supervisione e revisione da parte del professionista, ma strumenti in grado di generare output accurati e di guidare verso un prodotto di qualità nel minor tempo possibile.
Peccato che questa fase non sia ancora disponibile perché, se utilizziamo gli strumenti generalisti (il famoso ChatGPT), nella maggior parte dei casi questi non si prestano a essere automaticamente applicati al lavoro quotidiano dell’avvocato o del dottore commercialista, ma necessitano di essere modificati e adattati alla luce delle peculiari necessità della pratica giuridica.
Per aiutare l’intelligenza artificiale, che lavora con le parole più che con i numeri, occorre che il legislatore faccia il suo dovere, di attribuire a un termine un solo significato. Il sistema rischia di saltare con le parole polisemiche, che hanno cioè più significati. La peggiore è il termine “effettuazione”, che ha addirittura tre significati nel nostro testo della legge Iva, ma non nella direttiva, che distingue tra “fatto generatore” (il nostro articolo 6), il “luogo dell’operazione”, cioè lo Stato che ha titolo alla percezione dell’imposta – territorialità, articoli 7 – e infine l’esecuzione della prestazione.
Arriviamo così allo schema di decreto legislativo, con l’articolo 9-ter, in rubrica “consulenza semplificata”.
In base a questa disposizione tutte le persone fisiche e le società di persone in contabilità semplificata accederanno gratuitamente, su richiesta relativa a casi concreti, anche per il tramite di intermediari specificamente delegati, a un’apposita banca dati che, nel rispetto della normativa in materia di tutela dei dati personali, contiene i documenti di prassi, le risposte a istanze di consulenza giuridica e interpello, le risoluzioni e ogni altro atto interpretativo.
La banca dati consente l’individuazione della soluzione al quesito interpretativo o applicativo esposto dal contribuente. Se la risposta al quesito non è individuata univocamente, la banca dati informa il contribuente che può presentare istanza di interpello. La risposta “automatica” produce gli effetti esclusivamente nei confronti del contribuente istante.
Siamo ben lontani dalla vera e propria intelligenza artificiale. Per fortuna nessuno ci toglie l’intelligenza umana.
Fonte: Il Sole 24ORE