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Bonus aumenti di capitale: senza l’Ace stretta sul 25% delle imprese

La fine dell'ACE penalizza imprese, compensata in parte dalla superdeduzione per assunzioni, finanziata con il taglio del vecchio bonus.

L’addio all’Ace, lo sconto fiscale intitolato all’«aiuto alla crescita economica», penalizza le imprese, compensate solo in parte dalla nuova superdeduzione per le assunzioni finanziata con il taglio del vecchio bonus. Per poco più di un quarto di loro (il 25,6%) si prospetta un aumento secco dell’Ires, l’imposta sui redditi societari. Non solo: lo stop all’agevolazione sugli aumenti di capitale – prevista dal decreto attuativo della delega fiscale che taglia l’Irpef a tre aliquote per il 2024 – può colpire al cuore la parte più dinamica delle aziende del made in Italy.

Le stime dell’Istat presentate nell’audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato mettono in risalto come la cancellazione a partire dal 2024 della deduzione del rendimento nozionale delle capitalizzazioni effettuate finisca per influire maggiormente sul settore manifatturiero (dove la percentuale di penalizzazione sale addirittura al 33,5%). Ma con l’aggravante – secondo i calcoli dell’Istituto nazionale di statistica sul panel di imprese considerate – che a pagare un costo più alto saranno le imprese appartenenti a settori a più alta intensità tecnologica. Lo stesso discorso vale anche per le utilities dove la percentuale di penalizzati sale al 33,7 per cento.

Il discorso, però, è molto più ampio. Perché c’è una progressione al crescere dell’azienda. Come sottolinea sempre l’Istat, infatti, la quota di chi ci rimette aumenta con la dimensione dell’impresa (quasi una su due tra le imprese con oltre 2 milioni di fatturato), è più elevata tra le imprese più solide (42,5% per le imprese con indicatore «in salute» per quanto riguarda la sostenibilità economico finanziaria) e con elevato grado di dinamismo, tra le imprese in gruppo nazionale e internazionale, quelle localizzate nelle regioni settentrionali e tra le esportatrici. In sostanza, l’addio all’Ace va a colpire le aziende maggiormente strutturate o con potenzialità di sviluppo almeno più evidenti. In termini di aggravio d’imposta, il conto diventa più pesante in media del 13,7 per cento, in un saldo solo smussato dal -3,1% portato dalla superdeduzione. Il dare-avere si chiude in perdita del 10,5%. Ma il colpo del tramonto dell’Ace conosce punte che arrivano al 21,2% nel settore dei servizi ad alta tecnologia e per le imprese con sostenibilità economico finanziaria «a rischio» o «fortemente a rischio».

La ragione è evidente, considerando che l’Ace (istituita nel 2011 con il decreto salva Italia del governo Monti) punta a incentivare attraverso il meccanismo della deduzione dall’imponibile l’apporto proprio di capitali in azienda e non il ricorso al credito “esterno” che, per chi è già in situazione di tensione finanziaria, diventa ancora più complesso.

Attraverso l’abolizione dell’Ace il Governo ha voluto trovare le risorse necessarie per l’introduzione dello sgravio fiscale per le nuove assunzioni, oltre che per i successivi interventi della delega. In termini di saldi, c’è un risparmio per l’Erario stimato in 3,5 miliardi per il 2025 e 2,8 miliardi a regime dal 2026. L’effetto, però, della deduzione del 20% dei neoassunti (30% in caso di soggetti particolarmente svantaggiati) compensa solo parzialmente l’aumento di tassazione derivante dallo stop all’Ace. Secondo il calcolo dell’Istat, l’incremento di tassazione a livello complessivo delle 886mila aziende considerate è mitigato solo per il 3,1% dalla deduzione sui neoassunti (prevista per ora solo per il 2024). Un meccanismo che, a detta dell’Istat, «avvantaggerebbe una percentuale ristretta delle imprese appartenenti ai settori produttivi, pari al 5,9 per cento».

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha respinto in audizione (si veda a pag. 3) l’accusa di aver trascurato le imprese: «La manovra va letta insieme al Pnrr e al RepowerEu che mette a disposizione delle imprese ulteriori risorse». Ma questo procedere per step successivi produce effetti collaterali. Li ha notati l’Upb secondo cui l’addio all’Ace dal 2024 potrebbe far scattare una corsa di fine anno agli aumenti di capitale, per agganciare l’ultima coda dell’agevolazione. L’annuncio dell’abolizione «potrebbe spingere le imprese ad anticipare incrementi di capitale programmati per i prossimi anni – ha sottolineato l’Ufficio sempre ieri in audizione – per ottenere il beneficio della deduzione Ace ancora nel 2023 (da riportare agli anni successivi per le imprese non capienti)» . Con la conseguenza di «un minore gettito nel 2024 e un corrispondente minore recupero negli anni successivi».

Fonte: Il Sole 24ORE

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