Nel testo del decreto legislativo internazionalizzazione che è stato depositato in Parlamento per la sua discussione, rispetto alla bozza in precedenza circolata, viene innalzato da 5 a 10 anni il periodo di mantenimento delle attività nel territorio dello Stato a seguito di reshoring (rientro a casa delle aziende delocalizzato, ndr).
Inoltre in caso di successivo nuovo offshoring si penalizza non soltanto il trasferimento a vantaggio di Stati non appartenenti all’Ue o allo Spazio economico europeo (See), ma qualunque spostamento, anche in Paesi Ue o See.
Queste le modifiche del testo, contenuto nell’articolo 6 del decreto (in precedenza articolo 5). Vediamo la norma nel suo complesso.
La disposizione mira ad agevolare sul piano fiscale il trasferimento di attività economiche che erano svolte in precedenza al di fuori della Ue o del See.
La casistica appare ampia perché riguarda non solo attività d’impresa ma anche esercizio di arti e professioni, stabilendosi che i relativi redditi non formino la base imponibile Ires (o Irpef) e Irap per il 50% nel periodo di imposta in corso al momento in cui avviene il trasferimento, e nei cinque periodi di imposta successivi.
Non sono incluse le attività esercitate nel territorio dello Stato nei 24 mesi antecedenti il loro trasferimento, evidentemente per evitare fenomeni di entrata/uscita meramente strumentali. Per determinare la detassazione il contribuente è tenuto a mantenere separate evidenze contabili idonee a consentire il riscontro della corretta determinazione del reddito e del valore della produzione netta agevolabile.
La durata minima del reshoring per beneficiare dell’agevolazione deve essere di cinque anni, innalzati a dieci per le grandi imprese secondo la definizione comunitaria del 2003 (parametri di 250 dipendenti, 50 milioni di euro di fatturato e 43 milioni di totale di bilancio).
Se entro tale lasso temporale c’è un nuovo offshoring, anche parziale, delle attività in qualsiasi altro Stato (anche Ue o See), ciò comporta la decadenza del regime per cui si pagano le imposte ordinarie più gli interessi. Ai sensi dell’articolo 108 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, l’efficacia delle disposizioni è subordinata all’autorizzazione della Commissione europea. Fin qui la norma, vediamo ora i relativi ragionamenti.
Di certo la disposizione è da salutare con favore. Risponde infatti al tentativo di concedere un’agevolazione fiscale, e quindi incentivare, dei meccanismi che vanno visti positivamente soprattutto in relazione a processi industriali che, con l’esperienza del Covid, hanno evidenziato come alcune produzioni non possano essere totalmente mancanti dal territorio nazionale.
Lo stesso dicasi di esperienze di eccessiva delocalizzazione da parte di multinazionali laddove poi ci si rende conto che determinati processi in certi paesi non raggiungono i livelli qualitativi minimi o comunque necessari.
Di qui la logica di riportare all’interno determinate attività. Sotto questo punto di vista il termine attività economiche pare volutamente ampio. Sembra quindi poter ricomprendere dei rami aziendali, ma anche delle operazioni straordinarie transfrontaliere che li contengano.
Il comma 3 richiede poi un sistema di contabilità analitica volto a tenere evidenza dell’attività economica oggetto di reshoring. Diciamo che per aziende comunque strutturate, quali quelle che operano a livello cross border, ciò non dovrebbe costituire un problema, essendo abituate a meccanismi di controllo di gestione analitico. Ovviamente queste pratiche non devono essere ispirate a tecniche di mordi e fuggi, per cui si richiede che il reshoring duri da cinque a dieci anni, termine quest’ultimo individuato per le grandi imprese che più comunemente si ritiene siano interessate da tali fenomeni.
Sarebbe il caso di circoscrivere bene l’inciso “anche parzialmente”.
Perché accanto a ipotesi patologiche che devono essere colpite, la prassi delle grandi imprese globalizzate può anche prevedere che alcune parti siano ricollocate altrove secondo una logica del tutto fisiologica. E se si trattasse di manovre che non fanno venire meno la sostanza del reshoring sarebbe un peccato colpirle in via definitiva solo per una successiva uscita parziale. In caso di decadenza la norma pare chiara nel richiedere al contribuente le imposte del cui sgravio aveva beneficiato, unitamente agli interessi, ma chiaramente senza sanzioni.
Fonte: Il Sole 24ORE