Con la circolare 34/E/2022 le Entrate hanno aderito alla tesi dottrinaria che, dal punto di vista fiscale, ravvede nel trust un negozio giuridico unitario e complesso a formazione progressiva. Come osservato in merito nel recente studio 56-2023/T del Consiglio nazionale del Notariato, ne consegue che il trust è inquadrabile quale «atto gratuito atipico», con cui l’effetto di arricchimento si realizza in capo al beneficiario non in modo istantaneo, bensì all’esito del succedersi di diversi momenti giuridici.
Ciò che rileva, ai fini della debenza dell’imposta sulle donazioni, non è la mera costituzione del vincolo di destinazione sui beni istituiti in trust, bensì l’effettivo arricchimento del beneficiario riconducibile all’originario atto dispositivo del disponente, ossia di colui che si è impoverito compiendo l’attribuzione gratuita. È il beneficiario infatti, nel regime della cosiddetta “tassazione all’uscita”, il soggetto passivo d’imposta.
Le diverse liberalità
Gli atti dai quali consegue un arricchimento definitivo e stabile dei beneficiari possono essere di varia natura. Possono essere liberalità donative di cui all’articolo 769 del Codice civile, come tali formalizzate e assoggettate a imposizione, così come possono essere liberalità non donative (liberalità indirette), quindi in assenza delle forme previste per le donazioni, compresi meri comportamenti materiali.
Le liberalità indirette sono una modalità ampiamente utilizzata per perseguire le finalità dei trust familiari e l’interesse dei beneficiari, ed è particolarmente rilevante l’inquadramento del regime fiscale applicabile, riepilogato nel citato studio del Notariato coerentemente con le indicazioni contenute nella circolare 34/E/22.
L’imposta sulle indirette
Le liberalità indirette scontano sempre il tributo donativo se contenute in atti soggetti a registrazione, salvo che si tratti di quelle attribuzioni liberali previste dall’articolo 1, comma 4-bis, del Tus, concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, se tali atti sono soggetti a Iva o a imposta di registro in misura proporzionale.
Se invece l’effetto di arricchimento gratuito in capo al beneficiario deriva da atti non soggetti a registrazione o da meri comportamenti, tali liberalità indirette scontano l’imposta in due soli casi: se il beneficiario decide di assoggettarle volontariamente a registrazione (ex articolo 56-bis, comma 3, Tus) oppure se ne “confessa” l’esistenza in sede di procedimenti diretti all’accertamento di altri tributi (articolo 56-bis, comma 1, lettera b, Tus). In questo ultimo caso, condizione ulteriore perché tali liberalità indirette siano tassate (con aliquota fissa dell’8%) è che l’importo delle stesse ecceda quello della franchigia applicabile in base al rapporto di coniugio/parentela, che per i trust è quello tra disponente e beneficiario.
Rientrano nelle liberalità indirette anche tutti gli impieghi del fondo in trust che il trustee effettua nell’interesse dei beneficiari, quali – ad esempio – pagare l’affitto dell’abitazione principale, l’assicurazione sanitaria, le spese condominiali della casa utilizzata per vacanza dai beneficiari, e così via.
Si aggiunga che sono in ogni caso escluse dal tributo (ex articolo 1, comma 4, Tus) le attribuzioni di modico valore (articolo 783 del Codice civile) e quelle per spese di mantenimento e di educazione, così come quelle sostenute per malattia o abbigliamento (articolo 742 del Codice).
Stessi casi, stesso tributo
In sintesi, con il trust le attribuzioni patrimoniali ai beneficiari, che magari sono i discendenti di terza generazione del disponente, e gli impieghi a loro favore del patrimonio in trust sono soggetti all’imposta sulle donazioni negli stessi casi – nonché per la stessa base imponibile e con le medesime aliquote – in cui sarebbero stati assoggettati a imposizione se tali attribuzioni patrimoniali e impieghi fossero stati realizzati direttamente dal disponente, loro tris-nonno.
Fonte: Il Sole 24Ore