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L’autonomia della società fa cadere l’ipotesi di esterovestizione

La sentenza 2445/23/2023 afferma l'efficacia vincolante della sentenza penale irrevocabile in controversie tributarie sull'Iva.

La sentenza 2445/23/2023 con la quale la Cgt Puglia ha stabilito che «la sentenza penale irrevocabile assume efficacia vincolante e opera automaticamente nel processo tributario» (si veda l’articolo «Assoluzione penale con effetto automatico nella controversia tributaria») merita di essere segnalata sotto il profilo dell’oggetto della vicenda processuale (mancato versamento dell’Iva per la presunta esterovestizione di una società di navigazione portoghese).

Invero, il giudice tributario ha confermato l’orientamento secondo cui:

• il semplice fatto che una società sia stata creata in uno Stato membro per poter usufruire di una legislazione più vantaggiosa non è sintomatico ex se di abuso della libertà di stabilimento, potendosi ammettere una restrizione solo allorché si tratti di una costruzione di puro artificio (Corte di giustizia Ue, sentenza 12 settembre 2006 causa Cadbury Schweppes);

• l’accertamento dell’esterovestizione societaria prescinde dalla sussistenza di eventuali forme di abuso del diritto (ex multis Cassazione, sentenze n. 23150/2022, n. 11709/2022, n. 11710/2022);

• si ha una società-schermo nell’ipotesi in cui l’ente, anche se allocato formalmente all’estero, è privo di concreta autonomia e costituisce solo una copertura attraverso la quale agisce la persona fisica, che è la titolare effettiva dell’attività economica (Cassazione penale, sentenza 50151/2018).

L’agenzia delle Entrate aveva sostenuto che la società portoghese sarebbe stata esterovestita in quanto «diretta» da una società italiana che provvedeva alle gestione delle navi (due rimorchiatori) della compagnia di navigazione lusitana: dall’ «inoltro degli ordini di approvvigionamento dei materiali ai fornitori» alla «gestione dei problemi tecnici dei rimorchiatori», dalla « predisposizione, definizione, gestione e proroga dei contratti con i clienti» alla «gestione dei pagamenti e dei flussi finanziari». Tesi che non ha colto nel segno.

I giudici di secondo grado hanno accertato che le prestazioni fornite dalla società alla compagnia di navigazione erano regolate da un contratto di ship management e che la compagnia di navigazione era «effettivamente operativa» in Portogallo per il fatto che:

• le riunioni del consiglio di amministrazione e le assemblee dei soci si erano sempre svolte a Madeira;

• i rimorchiatori erano stabilmente adibiti ad attività di rimorchio di altura e di assistenza alle piattaforme petrolifere dislocate al largo della costa nord- africana;

• i dipendenti (52) erano « cittadini non italiani ed extra-comunitari»;

• il presidente del consiglio di amministrazione veniva remunerato in Portogallo e sui redditi prodotti versava le relative imposte, con delega di pagamento effettuate tramite istituto di credito portoghese.

Da qui il dictum della pronuncia in narrativa («deve escludersi che, nella fattispecie, si versi in una ipotesi di esterovestizione volta a scopi elusivi dell’imposizione fiscale»), fermo restando che il collegio ha evidenziato che l’agenzia delle Entrate e la Commissione tributaria di primo grado avrebbero dovuto valutare la circostanza che se la società portoghese avesse effettivamente stabilito la propria sede in Italia svolgendo in proprio le attività di ship management avrebbe potuto optare per il regime della tonnage tax (imposta sul tonnellaggio), conseguendo un cospicuo risparmio di imposta.

Fonte: Il Sole 24Ore

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