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La quota della Srl nella dichiarazione di successione

La quota di partecipazione di una srl nella dichiarazione di successione è pari al patrimonio netto nell’ultimo bilancio pubblicato.

La domanda

Il valore di una quota di partecipazione di una srl da riportare nella dichiarazione di successione è quello pari alla quota del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio pubblicato prima del decesso del “de cuius”, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti nelle voci del patrimonio netto fino alla data del decesso (articolo 16, Dlgs 346/90.). Considerato che il patrimonio netto risultante dal bilancio riferito al giorno del decesso non può mai corrispondere a quello del bilancio al 31 dicembre dell’anno precedente sia per la presenza della voce «Risultato di periodo» che per l’assenza dell’utile risultante nel bilancio pubblicato (perché imputato nel frattempo a riserva oppure distribuito), si chiede: la voce del patrimonio netto risultato di periodo costituisce “mutamento” di cui tenere conto oppure si deve tenere conto dei mutamenti delle sole voci: capitale sociale e riserve, non considerando in quest’ultima il travaso dell’utile dell’esercizio precedente ?
M. T. – Foggia

Il quesito, apparentemente semplice nella sua ricostruzione, apre ad una molteplicità di considerazioni, vagliate – non troppo tempo fa – dalla giurisprudenza nella vicenda successoria di un noto stilista italiano. Ai sensi dell’articolo 16, comma 1, del testo unico sulle successioni e donazione (Dlgs 346/1990), la base imponibile, relativamente alle quote sociali comprese nell’attivo ereditario, è determinata assumendo «…. per le quote di società non azionarie…. il valore proporzionalmente corrispondente al valore, alla data di apertura della successione, del patrimonio netto ….della società risultante dall’ultimo bilancio pubblicato…., tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti….» (lettera b). E ciò quando, in termini generali, per “patrimonio netto” si intende quella voce del bilancio costituita da capitale sociale nominale (unico elemento rilevante, ad esempio, se la società è stata appena stata costituita), riserve, utili (o perdite) di esercizi precedenti e utile dell’esercizio. Sinteticamente, si tratta della differenza tra le attività e le passività dello stato patrimoniale. Fisiologico appare che tra la data di approvazione del bilancio e quella di apertura della successione si verifichino dei “mutamenti”, in aumento o in diminuzione, nei valori del patrimonio netto, che – alla stregua della ricordata norma – devono essere considerati ai fini della determinazione della base imponibile. Eppure contestata (si legga sul tema generale la circolare dell’agenzia delle Entrate 58/E del 30 dicembre 2003) è la nozione di “mutamenti sopravvenuti”. Una domanda per tutte: rileva un bilancio infrannuale, non approvato in assemblea e redatto il medesimo giorno di apertura della successione? Per una prima tesi, gli unici mutamenti da considerare sono costituiti dagli “eventi eccezionali e imprevedibili” da rapportare alle poste del bilancio, in grado di incidere definitivamente sul valore oggetto di determinazione. Rileva, allora, esclusivamente, il valore del patrimonio netto secondo l’ultimo bilancio regolarmente approvato, che è vincolante sia per l’amministrazione finanziaria, che per il contribuente. Senza possibilità di utilizzo delle risultanze tratte da documenti diversi , quali un “bilancio infrannuale” non regolarmente approvato, o della distribuzione di utili e dividendi avvenuta in violazione dell’articolo 2433, comma 2, del Codice civile (Cassazione 11 dicembre 2015, n. 25007). Considerazioni differenti orientano chi, al contrario, ritiene che la nozione di “mutamenti sopravvenuti” deve servire a rendere sempre il bilancio adeguato a rappresentare fedelmente il patrimonio della società al momento della morte del socio. In una fattispecie riguardante una donazione (e non una successione), secondo la Corte di legittimità «il valore del patrimonio netto della società risultante dall’ultimo bilancio può essere incrementato, o ridotto, in ragione dei mutamenti sopravvenuti tra la data di chiusura dell’esercizio al quale il bilancio si riferisce e la data della donazione, potendosi anche utilizzare le risultanze di un successivo bilancio, antecedente alla data della donazione, ancorché approvato in epoca successiva» (Cassazione, 10 luglio 2013, n. 17062). Quest’ultima ricostruzione appare preferibile se non si vuole enfatizzare la natura antielusiva del più volte citato articolo 16 del Tus, la cui ratio sembra essere orientata a rappresentare il valore reale delle partecipazioni societarie, nella logica della corretta individuazione della capacità contributiva. Non a caso, in una recente pronuncia della Corte suprema, si è affermato che «in tema d’imposta sulle donazioni e successioni, ai fini della determinazione della base imponibile relativamente ad azioni o quote di società comprese nell’attivo ereditario, ai sensi dell’articolo 16, comma 1, lettera b), del Dlgs 346/1990, in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti di cui al nuovo testo dell’articolo 111 della Costituzione, deve essere riconosciuta anche al contribuente, oltre che all’amministrazione finanziaria, la possibilità sia di offrire prova contraria rispetto al criterio legale del dato contabile risultante dal bilancio approvato, sia di provare la sussistenza di eventi sopravvenuti all’approvazione ed antecedenti al decesso, che abbiano mutato quei valori» (Cassazione, 8 aprile 2022, n. 11467).

Fonte: Il Sole 24Ore

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