L’avvocato generale Juliane Kokott, nelle conclusioni presentate il 21 settembre 2023 alla causa C-442/22, ha nuovamente affrontato il tema della responsabilità del contribuente coinvolto nella frode Iva posta in essere da un soggetto terzo.
Il caso riguarda una società che, a seguito di una verifica fiscale, ha accertato che un dipendente della stessa emetteva delle fatture false a favore di imprese che avevano fatto valere, tramite la detrazione, l’Iva indicata nelle fatture. Tali fatture, poi, non venivano annotate nel registro delle vendite della società e la relativa Iva non veniva versata all’Erario, né tantomeno dichiarata dal contribuente. L’Amministrazione finanziaria polacca emetteva nei confronti della società un avviso di accertamento di un debito Iva, sulla scorta del fatto che la contribuente avrebbe dovuto vigilare sui propri dipendenti ed evitare l’emissione di fatture false.
La Corte Suprema Amministrativa polacca ha rinviato il giudizio alla Corte di Giustizia, al fine di chiarire se, in base all’articolo 203, direttiva n. 2006/112/CE (direttiva Iva), il datore di lavoro debba essere considerato o meno il soggetto che dichiara l’Iva in fattura ed è obbligato a versarla qualora i suoi dati vengano indicati a sua insaputa come dati del soggetto passivo dell’Iva, in caso di una fattura falsa emessa dal suo dipendente; oppure se, in caso contrario, l’obbligo di versamento dell’imposta spetti al dipendente che illecitamente ha dichiarato l’Iva in fattura, utilizzando i dati del soggetto avente la qualifica di soggetto passivo dell’Iva.
Secondo l’articolo 203 direttiva, l’Iva è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura. Viene così considerata solo l’imposta indebitamente fatturata, ossia un’Iva non dovuta, ma indicata in fattura.La ratio della norma è quella di eliminare il rischio di perdita del gettito fiscale derivante dall’illecita detrazione operata dal destinatario sulla base della fattura falsa.
Ne consegue che colui che ha emesso la fattura risponde, indipendentemente dalla colpa, del rischio (astratto) che il destinatario della fattura possa effettuare indebitamente una detrazione sulla base di detta fattura (erronea). Non si tratta dunque di un vero debito d’imposta, bensì di una responsabilità oggettiva di colui che ha emesso la fattura. Tale responsabilità opera non solo nel caso di un errore sulla corretta aliquota di imposta (in fattura è indicata l’aliquota ordinaria in luogo di quella ridotta), ma anche in caso di fatturazione di operazioni fittizie.
Affinché tale responsabilità non sia arbitraria, sono necessari sia un motivo oggettivo, sia un’imputabilità soggettiva del rischio. Sotto il primo requisito, occorre che vi sia il rischio di perdita di gettito fiscale, posto che l’articolo 203 direttiva Iva non opera quando tale fattispecie sia esclusa. Del resto, se il destinatario della fattura non è legittimato a detrarre l’Iva, non vi è nemmeno il rischio di danno erariale. Il secondo requisito, invece, richiede che il danno debba essere imputabile al contribuente: sul punto, il datore di lavoro potrà richiamare la propria buona fede, laddove la frode venga commessa da un proprio dipendente a sua insaputa.
La buona fede è esclusa se il datore di lavoro era a conoscenza dell’operato del suo dipendente e non è intervenuto nonostante ne avesse la possibilità. In un’ipotesi del genere, egli fa consapevolmente proprio l’operato del medesimo. Lo stesso deve in tal caso essere considerato l’unico emittente di siffatte fatture, a causa dell’apparenza, da questi consapevolmente tollerata, sorta tramite le fatture fittizie. Pertanto, la società datrice di lavoro deve essere considerata in buona fede fintantoché non le possa essere addebitata una colpa propria.
Dunque, secondo l’avvocato generale, è chiamata a rispondere della frode Iva perpetrata da un soggetto terzo dipendente, la società a cui sia imputabile una specifica responsabilità di controllo sul dipendente stesso, o non sia stata in buona fede. Le conclusioni rassegnate appaiono essere condivisibili, in quanto applicano correttamente i principi unionali.
Fonte: Il Sole 24Ore