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Tassazione rimborso spese di viaggio e lavoro autonomo

Ai fini fiscali assumono funzione risarcitoria le somme corrisposte al dipendente, superiori a quelle della prestazione lavorativa ordinaria.

La Corte di Cassazione, con ordinanza 12 settembre 2023, numero 26396, afferma sostanzialmente che ai fini fiscali assumono funzione risarcitoria e non retributiva, le somme corrisposte al dipendente in relazione all’attribuzione di incarichi che comportino spese superiori a quelle rientranti nella normalità della prestazione lavorativa.
La fattispecie riguarda una controversia di impugnazione del diniego di rimborso Iperf, relativo alle somme per le spese di viaggio sostenute da un medico specialista ambulatoriale per lo svolgimento di incarichi svolti fuori sede.

Il ricorso del contribuente è stato respinto sia in primo grado che in appello, al cui riguardo la Commissione tributaria regionale ha ritenuto che, in base all’articolo 46 del Ccnl attuativo dell’articolo 35 del Dpr 271/2000, tenuto conto degli attestati di servizio Asl, il rimborso delle spese di viaggio sostenute dal medico specialista per ogni accesso svolto in luoghi diversi dal Comune di residenza abbia natura retributiva. Quindi, ha considerato tale compenso rientrare nel novero delle spese determinate in modo forfetario, da rimborsare come compenso retributivo accessorio e quindi tassabile.

In Cassazione il professionista deduce la violazione dell’articolo 46 del Ccnl del 23 maggio 2005 per la disciplina dei rapporti di lavoro con medici specialisti ambulatoriali interni; dell’articolo 35 del Dpr 271/2000 nonché dell’articolo 51 del Tuir, per avere il giudice dell’appello attribuito natura retributiva e non rimborsi di natura risarcitoria alle spese di viaggio rimborsate dall’Asl per gli incarichi svolti dal contribuente in distretti sanitari esterni al Comune di residenza, assoggettandoli a Irpef.

Nel decidere la vertenza, la Suprema Corte, disattendendo la doppia conforme di merito, accoglie il ricorso del professionista, affermando che ai fini fiscali assumono funzione risarcitoria e non retributiva, le somme corrisposte al dipendente in relazione all’attribuzione di incarichi che comportino spese superiori a quelle rientranti nella normalità della prestazione lavorativa. Ciò in quanto, tema di imposte sui redditi, non ogni somma corrisposta in pendenza del rapporto di lavoro deve considerarsi di natura retributiva, e perciò assoggettabile, ai sensi dell’articolo 48 (ora articolo 51) del Tuir, a ritenuta Irpef, salve le eccezioni dagli stessi articoli previste.Sul piano normativo si ricorda che l’articolo 35 (Rimborsi spese di accesso) del Dpr 271/2000 dispone che per incarichi svolti in Comune diverso da quello di residenza, purché entrambi siano compresi nello stesso ambito zonale, viene corrisposto, per ogni accesso, un rimborso spese nella misura di lire 533 per chilometro a decorrere dal 1° gennaio 2000.

Inoltre, ai sensi dell’art. 51, comma 5, del Tuir, il rimborso delle spese di trasferta può essere analitico, se ancorato agli esborsi, per vitto, alloggio e viaggio, effettivamente sostenuti e adeguatamente documentati dal dipendente, ovvero forfetario, se operato attraverso il riconoscimento di una provvista di denaro per sostenere le spese di vitto e alloggio, con la conseguenza che, mentre nel primo caso il rimborso non determina alcuna tassazione in capo al dipendente, nel secondo l’importo che oltrepassi il limite massimo previsto dall’articolo 51 concorre alla formazione del reddito di lavoro (cfr. Cassazione 8489/2020).Nel merito della questione controversa, necessita rilevare che il tema non è nuovo per la Cassazione, atteso che la giurisprudenza di legittimità (Cassazione 6793/2015; 30264/2021; 40860/2021) ha già avuto modo di chiarire che in tema di imposte sui redditi, le somme corrisposte per spese di viaggio effettivamente sostenute per lo svolgimento dell’incarico di medico specialista presso gli ambulatori esterni al comune di residenza sono percepite a titolo di rimborso spese, sicché hanno funzione restitutoria e di ripristino del patrimonio del prestatore d’opera e non sono assimilabili alla retribuzione, né assoggettabili ad imposta ai sensi dell’articolo 48 del Dpr 917 del 1986, poiché la loro quantificazione è determinata non con criterio forfettario, ossia sganciata dall’effettivo esborso sostenuto dal prestatore d’opera, ma con specifica parametrazione al chilometraggio percorso ed al costo del carburante rilevato. Ne segue che in tema di imposte sui redditi, non ogni somma corrisposta in dipendenza del rapporto di lavoro deve considerarsi di natura retributiva, e perciò assoggettabile a ritenuta Irpef, ex articolo 48 del Dpr 917 del 1986 (ora articolo 51), salve le eccezioni dallo stesso articolo previste.

Assumono infatti funzione risarcitoria, e non retributiva, le somme corrisposte al dipendente in relazione all’attribuzione di incarichi che comportino spese superiori a quelle rientranti nella normalità della prestazione lavorativa, e quindi tali da rendere l’incarico in questione depauperativo rispetto alla posizione dei dipendenti che percepiscano pari retribuzione in relazione ad incombenze diverse, non potendosi ravvisare alcuna ragione ostativa all’applicazione del principio nella modalità del rimborso – di tipo forfettario anziché a piè di lista -, quando le prestazioni fuori sede siano state dal dipendente effettivamente rese (Cassazione 9107/2002; 13953/2011).

Fonte: Il Sole 24Ore

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