Nella costante opera di allineamento ai principi unionali, fra i quali risalta la prevalenza dei requisiti sostanziali rispetto agli adempimenti formali, la Cassazione mette qualche punto fermo utile a orientare gli operatori e l’azione di controllo del Fisco. Con ordinanza n. 14853 del 26 maggio scorso, i giudici puntano l’attenzione sui documenti idonei a comprovare la spettanza del regime di non imponibilità Iva delle cessioni all’esportazione, precisando che rappresenta un documento utile allo scopo anche il codice Mrn (di individuazione dell’esportazione e di controllo del «risultato di uscita» dei beni dall’Ue) rilasciato da una dogana comunitaria anziché da una dogana nazionale.
Nella pronuncia (si veda l’articolo a destra) è altresì ribadito l’orientamento in base al quale in un’operazione di tipo triangolare (di cui all’articolo 58, Dl 331/1993) il trasferimento dei beni al cliente finale in altro Stato Ue a opera del promotore (primo cessionario/secondo cedente) non impedisce che anche la prima vendita avvenga in “esenzione”.
Tornando ora alle operazioni di cessioni all’esportazione di cui all’articolo 8, comma 1, lettera a), Dpr 633/72, i giudici sottolineano che, ai fini della non imponibilità, è necessario che sussistano elementi presuntivi che facciano ritenere che sia avvenuta l’uscita dei beni dal territorio comunitario e che la destinazione all’esportazione sia documentata da mezzi di prova certi e incontrovertibili. Sono tali, fra l’altro, le attestazioni di pubbliche autorità del paese d’importazione, mentre non lo sono documenti di origine privata (fatture, documenti bancari relativi al pagamento). Sono altresì idonei, come da giurisprudenza Ue (C-495/17), i carnet Tir debitamente vidimati per il transito delle merci e, in generale, anche documenti di fonte privata, sempre se vidimati/contrassegnati da un’autorità doganale. Pertanto, è da ritenere che anche il codice Mrn «apposto da uffici doganali non nazionali» rappresenti una prova dell’effettiva esportazione della merce.
Da questo punto di vista, la Cassazione “nobilita” le più prudenti indicazioni fornite dall’agenzia delle Dogane con nota 3028/2008. In tale documento, dopo aver confermato che la scelta dell’ufficio doganale di esportazione (quello in cui “accendere” la pratica) non è rimessa alla discrezionalità degli operatori, l’Agenzia rileva come, in caso di operazione doganale interamente eseguita presso un altro Stato membro, l’operatore deve aver cura di acquisire e tenere agli atti l’informazione associata all’Mrn di «prova di uscita della merce», pur non essendo i relativi Mrn “leggibili” dal sistema informatico doganale interno. Il tutto, nella prospettiva di una sua validità probatoria evidentemente già ipotizzabile all’epoca.
L’ordinanza menziona anche la sentenza C-656/19 nella quale è ampiamente enfatizzato il profilo sostanziale dell’avvenuta esportazione di beni fatturati in regime di esenzione Iva come cessioni a viaggiatori privati stranieri, pur in mancanza dei relativi presupposti. I giudici europei rilevano che, per quanto risulti inapplicabile l’articolo 147, direttiva 2006/112, corrispondente all’articolo 38-quater, Dpr 633/72, le cessioni possono comunque beneficiare della non imponibilità ai sensi del precedente articolo 146, paragrafo 1, lettera b) della direttiva (tradotto nell’articolo 8, comma 1, lettera b, del decreto Iva), nel rispetto delle condizioni sostanziali. Queste possono dirsi avverate nel caso di specie: sebbene la formalità doganale risulti espletata con le modalità delle vendite a privati extracomunitari in assenza dei presupposti, esiste tuttavia un’attestazione dell’autorità doganale di uscita su un modulo che è in possesso del soggetto passivo.
In una situazione come quella della sentenza C-656/19, nella quale, anche se l’operatore ha partecipato alla frode, questa non ha tuttavia determinato perdite fiscali in ambito comunitario né ha messo a repentaglio il funzionamento del sistema Iva, l’esenzione non può essere sistematicamente negata dalle autorità fiscali. Il principio viene argomentato solidamente e in un eventuale contenzioso andrebbe opportunamente fatto valere, nonostante la diversa ma non condivisibile lettura che di tale pronuncia la stessa Cassazione ha offerto in altra sede (sentenza n. 28441/2021).
Fonte: Il Sole 24 Ore