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Lo smart working mette alle strette il criterio della residenza fiscale

Nella circolare 25/2023, l'agenzia delle Entrate analizza in modo sistematico i profili fiscali dello smart working, la cui ampia diffusione è stata facilitata dalla possibilità di accesso a tecnologie sempre più evolute e potenti (e ulteriormente accelerata durante il periodo di emergenza sanitaria), divenuto oramai in molti settori una forma ordinaria di prestazione dell’attività lavorativa.

Nella circolare 25/2023, l’agenzia delle Entrate analizza in modo sistematico i profili fiscali dello smart working, la cui ampia diffusione è stata facilitata dalla possibilità di accesso a tecnologie sempre più evolute e potenti (e ulteriormente accelerata durante il periodo di emergenza sanitaria), divenuto oramai in molti settori una forma ordinaria di prestazione dell’attività lavorativa.

L’esigenza di chiarimenti deriva dal fatto che spesso il lavoro da remoto determina, anche in contesti transnazionali, «una separazione tra il luogo di svolgimento dell’attività, il luogo della residenza e il luogo in cui si esplicano gli effetti di tale attività lavorativa»; ciò rende quindi necessario prestare particolare attenzione agli impatti fiscali che ne possono derivare, anche con riguardo all’applicazione dei regimi agevolativi per le persone fisiche che trasferiscono la residenza in Italia per svolgervi un’attività lavorativa, disciplinati dall’articolo 16 del decreto legislativo 147/2015 (riguardante i lavoratori impatriati) e dall’articolo 44 del Dl 78/2010 (rivolto a docenti e ricercatori).

In entrambi i regimi, uno dei requisiti per accedere alle agevolazioni è l’acquisizione della residenza fiscale in Italia ed è con riferimento a tale status che l’Agenzia analizza gli impatti derivanti dalla possibilità, per i lavoratori in questione, di prestare l’attività in smart working.

In linea con precedenti documenti di prassi l’amministrazione finanziaria conferma che il lavoro da remoto non incide sulle regole di determinazione della residenza fiscale italiana fissate nell’articolo 2 del Tuir. Tale disposizione, fatta salva l’eventuale applicazione delle norme convenzionali contro le doppie imposizioni, considera fiscalmente residenti in Italia le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. All’affermarsi di tali nuove modalità lavorative, infatti, non «sono state apportate alla normativa interna modifiche che abbiano inciso sulle regole di determinazione della residenza ai fini fiscali».

Anche con riferimento ai richiamati regimi attrattivi, l’eventuale svolgimento dell’attività lavorativa da remoto in uno Stato diverso da quello originariamente previsto non deroga ai criteri domestici sopra indicati e ciò nemmeno in contesti di emergenza sanitaria come quelli vissuti durante la pandemia, nonostante le raccomandazioni dell’Ocse, che invitava gli Stati adottare flessibilità nell’interpretazione delle norme convenzionali, al fine di “sterilizzare” gli effetti fiscali derivanti dalla restrizione alla mobilità. Suggerimenti che l’Italia ha accolto nei limiti di specifici accordi amministrativi (temporanei e oggi non più in vigore) siglati con Austria, Francia e Svizzera.

L’Agenzia, pertanto, ritiene applicabile il regime impatriati (che agevola i redditi prodotti in Italia) nel caso di un lavoratore che trasferisca la propria residenza nel nostro Paese, anche ove dovesse continuare a lavorare in smart working alle dipendenze di un datore di lavoro estero, mentre non sarebbe applicabile al lavoratore che dopo il trasferimento in Italia dovesse traslocare all’estero pur lavorando in modalità agile alle dipendenze dello stesso datore italiano, ciò in quanto la prestazione lavorativa resa oltre confine resterebbe fuori dal perimetro dell’agevolazione.

Con riferimento al regime riservato ai docenti e ai ricercatori, invece, l’Agenzia evidenzia come, a differenza di quello previsto per gli impatriati (rispetto al quale non assume rilevanza il soggetto datoriale che fruisce delle prestazioni del lavoratore agevolato) «un docente o un ricercatore trasferitosi in Italia che intrattenga un rapporto di lavoro con un Ente o con una Università situata in uno Stato estero, per cui svolge la propria attività di docenza o ricerca in modalità smart working non potrà beneficiare dell’agevolazione in commento per i relativi redditi in quanto non sussiste un collegamento tra il trasferimento in Italia e lo svolgimento di una attività di docenza e/o ricerca nel territorio dello Stato».

È evidente che il sistema di norme attualmente vigente in materia di determinazione della residenza fiscale non appare più in grado di rispondere ai profondi cambiamenti che negli ultimi anni hanno interessato l’organizzazione del lavoro. E non è un caso, infatti, che la rivisitazione di queste norme, al fine di renderle maggiormente coerenti con il mutato contesto, sia uno degli obiettivi contenuti nella legge delega di riforma fiscale recentemente varata (articolo 3, comma 1, lettera c, della legge 111/2023).

 

Fonte: Il Sole 24Ore

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