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La Svizzera esce dall’ultima black list, ma il monitoraggio fiscale sarà ordinario solo dal 2024

Il ministero dell’Economia e delle finanze ha eliminato la Svizzera dalla “black list” degli Stati con regime fiscale privilegiato.

Il decreto del ministero dell’Economia e delle finanze del 20 luglio 2023 ha disposto l’eliminazione della Svizzera dall’ultima “black list” degli Stati con regime fiscale privilegiato, in cui risultava ancora iscritta. Si tratta dell’elenco – previsto dal Dm 4 maggio 1999 – degli Stati per cui opera l’inversione dell’onere della prova per il trasferimento della residenza fiscale, ex articolo 2, comma 2-bis, del Tuir.

La prima immediata conseguenza, dunque, è che i cittadini italiani che intendano trasferirsi in territorio elvetico non saranno più tenuti a dover dimostrare all’amministrazione finanziaria – in caso di richiesta – l’effettività del trasferimento, trovando piuttosto applicazione il regime ordinario, secondo cui il trasferimento all’estero ha efficacia immediata e l’onere della prova sulla fittizietà del trasferimento stesso, in caso di accertamento, resta in capo dell’amministrazione.

La seconda conseguenza, meno diretta ma altrettanto rilevante, è l’attesa semplificazione degli obblighi di monitoraggio fiscale degli investimenti detenuti in tale Stato. Obblighi che – lo si ricorda – derivano dal Dl 167/90 e sono spontaneamente assolti dal contribuente tramite compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi.

L’aggravio sanzionatorio sul monitoraggio

Le violazioni da omessa o irregolare compilazione del quadro RW sono accertate secondo i termini ordinari e comportano l’applicazione di sanzioni comprese tra il 3% al 15% dell’ammontare non dichiarato.

Tuttavia, per gli investimenti detenuti in Paesi a regime fiscale privilegiato, presenti in uno degli elenchi “black list” di cui ai decreti 21 novembre 2001 e 4 maggio 1999, opera un aggravio sanzionatorio, introdotto nel 2009 in occasione dell’ultimo “scudo fiscale”: per tali Paesi, l’intero valore dell’investimento (non dichiarato) si presume, salvo prova contraria, conseguito con redditi non dichiarati in Italia; con l’ulteriore aggravio che le sanzioni sono raddoppiate, cosi come i termini concessi all’amministrazione finanziaria per l’accertamento delle relative violazioni, sia ai fini reddituali che ai fini del monitoraggio.

Per effetto della norma, l’amministrazione finanziaria avrebbe a disposizione ben dieci anni (o addirittura 14 in caso di omessa dichiarazione) per eseguire l’accertamento, in luogo degli ordinari cinque.

Gli effetti positivi della exit

In questo scenario, la modifica normativa risulta essere dunque tanto opportuna quanto “liberatoria”, considerato il tempo atteso da contribuenti e operatori, eccessivo vista la specifica posizione del Paese elvetico. Infatti, dopo gli eventi del 2015 collegati alla “voluntary disclosure”, la Svizzera già si collocava in una zona se non bianca quanto meno “grigia” (non certo “nera”): la firma dell’accordo sullo scambio di informazioni del febbraio dello stesso anno aveva di fatto sancito la fine del segreto bancario e con esso la fuoriuscita dalla “black list” del 2021, a cui era seguito – nel 2016 – il definitivo ingresso nella “white list” dei Paesi collaborativi, di cui al decreto 4 settembre 1996. Ma, come detto, restava l’inclusione nella “black list” del 4 maggio 1999 a impedirle di usufruire dello status di Paese pienamente “white” ai fini del monitoraggio.

Ebbene, per effetto della cancellazione anche da quest’ultima black list, disposta dal decreto dello scorso luglio, la Svizzera diventa a tutti gli effetti “white” ai fini del monitoraggio. Pertanto, per gli investimenti detenuti da contribuenti italiani in questo Stato, non troverà più applicazione (i) né la presunzione per cui tali investimenti si considerano costituiti, salvo prova contraria, con redditi sottratti a tassazione; (ii) né il raddoppio delle relative sanzioni; (iii) né quello dei termini di accertamento, che quindi saranno pari a quelli ordinari.

I tempi della fuoriuscita

Da ultimo, particolare attenzione va prestata alla decorrenza. Secondo quanto previsto dal decreto, l’efficacia della modifica decorre infatti dal periodo d’imposta successivo a quello di pubblicazione, ed è dunque differita al 2024. Una scelta, questa, che lascia perplessi, non solo per le motivazioni pratiche, già evidenziate, in merito a una situazione ormai divenuta anacronistica, ma anche per ragioni di carattere strettamente giuridico, tenuto conto che più volte la Corte di Giustizia si è espressa a favore dell’applicazione – anche per il passato – della norma afflittiva più favorevole.

Tuttavia, in assenza di chiarimenti ufficiali, le operazioni e le situazioni relative al 2023, così come quelle relative ai periodi d’imposta precedenti, sono da ritenersi in via cautelativa soggette al vecchio e meno favorevole regime.

Fonte: Il Sole 24Ore

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