Di concorrenza sleale per contrarietà ai principi della correttezza professionale rispondono in via solidale la società che ha tratto vantaggio dagli atti illeciti e, personalmente, il suo amministratore che – pur non rivestendo la qualifica di imprenditore – ha contribuito a danneggiare una società concorrente a quella di cui è socio. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12092 dell’8 maggio 2023 pronunciandosi in un caso che vedeva coinvolte due società attive nel settore del trasporto pubblico e un soggetto terzo: il socio amministratore di una di queste.
Il caso
Il caso su cui si è espressa la Cassazione riguarda lo storno di 180 tassisti da parte di una cooperativa romana, tramite l’invio di una comunicazione volta ad informare i tassisti del (falso) cambio di sede della società a cui erano fino a quel momento affiliati. Così, quasi 200 tassisti (e i relativi clienti) sono stati dirottati presso la sede della cooperativa romana concorrente.
I messaggi in questione – determinanti per la realizzazione dello storno e del conseguente sviamento di clientela – sono stati inviati proprio dal socio e amministratore della cooperativa.
Su questi presupposti, la Cassazione – confermando la sentenza della Corte d’Appello di Roma – ha rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’amministratore, ritenendolo a tutti gli effetti (co)responsabile a titolo di concorrenza sleale.
Ciò, nonostante il socio fosse estraneo al rapporto di concorrenza tra le società di gestione del servizio taxi e rivestisse il ruolo di mero terzo cosiddetto interposto.
Le responsabilità del terzo
La concorrenza sleale – disciplinata dagli articoli 2598 e seguenti del Codice Civile – è un illecito riconducibile solo a società che operano in concorrenza sul mercato. In altre parole, affinché si possa parlare di concorrenza sleale sono di regola necessari due presupposti: la qualità di imprenditore dei soggetti coinvolti e la sussistenza di un rapporto di concorrenza (anche potenziale) tra essi.
Non è raro, però, che nel compimento di un atto di concorrenza sleale sia coinvolto anche un soggetto terzo (ad esempio un dipendente, un socio o un collaboratore dell’impresa sleale), o – addirittura – che l’illecito sia materialmente eseguito proprio da un terzo, magari anche all’insaputa dell’imprenditore.
In questi casi, come confermato dalla Cassazione, anche il terzo interposto può essere ritenuto responsabile dell’illecito concorrenziale, pur non rivestendo la qualifica di imprenditore e tantomeno quella di concorrente dell’impresa danneggiata.
Affinché ciò accada, è necessario che la condotta del terzo interposto – non solo dia un serio apporto causale al realizzarsi dell’illecito, ma – corrisponda all’interesse dell’imprenditore che ne trae vantaggio ai danni del concorrente.
Tra il terzo interposto e l’impresa avvantaggiata dall’atto anti-concorrenziale deve sussistere, dunque, un collegamento (materiale e psicologico) tale da far ritenere che l’atto sia stato oggettivamente compiuto nell’interesse dell’impresa.
Il collegamento con l’impresa
È evidente che nei casi in cui il terzo operi su istigazione, ispirazione o specifico incarico dell’imprenditore ci saranno pochi dubbi sulla responsabilità solidale tra l’impresa e il terzo.
Tuttavia, questo collegamento qualificato con l’impresa può sussistere anche nelle ipotesi in cui la condotta del terzo interposto – sebbene realizzata senza la personale e diretta partecipazione dell’imprenditore – sia comunque riconducibile geneticamente alla volontà di quest’ultimo. Ciò, in virtù di un rapporto contrattuale o di un rapporto organico che lega il terzo all’impresa tale da far presumere una condivisione di intenti.
È proprio questo il caso, come da ultimo ribadito dalla Cassazione, del socio/amministratore: sulla base del rapporto organico che lo lega alla società e della valenza funzionale del suo operato al perseguimento dell’interesse sociale, il socio è chiamato a rispondere di concorso nella concorrenza sleale in qualità di terzo interposto.
Le decisioni
Ruolo attivo
In un caso di concorrenza sleale denigratoria tra società di moda, l’agenzia di comunicazione non è stata ritenuta responsabile in qualità di “terzo interposto” (articolo 2598 n.2 del Codice civile) in quanto non aveva avuto alcun ruolo autonomo o attivo nella diffusione delle notizie screditanti. Tribunale di Milano, ordinanza 28 marzo 2022
Responsabilità del datore
Il datore di lavoro risponde dell’illecito concorrenziale del dipendente (articolo 2049 del Codice civile), anche nel caso in cui il dipendente abbia agito eccedendo i limiti delle proprie mansioni e/o all’insaputa del datore di lavoro.Tribunale di Milano, ordinanza dell’8 novembre 2021
Rapporto di esclusiva
In assenza di un rapporto di esclusiva, non risponde a titolo di concorso nello storno di dipendenti (articolo 2598 n.3 del Codice civile) il cliente che continui a trattare gli ex collaboratori di un’agenzia di marketing (poi assunti da un’agenzia concorrente) per le medesime campagne promozionali. Tribunale di Milano, sentenza 10 novembre 2021
Fonte: il Sole 24Ore