La risoluzione di un contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti e, di conseguenza, la restituzione di un bene in precedenza venduto comporta la rettifica del relativo ricavo, facendo venir meno l’originaria plusvalenza realizzata. Questo, in sintesi, il principio confermato dalla Cgt Umbria 194/2/2023 che, accogliendo il ricorso della società, ammette la legittimità della contabilizzazione della minusvalenza, generata dal venir meno di una plusvalenza realizzata nel 2011, per effetto della risoluzione contrattuale intervenuta nel 2014.
La vicenda
La società, nel corso dell’anno 2011, generava una plusvalenza tramite la cessione di un compendio immobiliare. Già nel 2012, tuttavia, il contratto veniva parzialmente risolto e, la società cedente, tornava proprietaria di alcuni terreni. Conseguentemente, la società cedente reiscriveva i beni in bilancio all’originario valore contabile, determinando il parziale annullamento della plusvalenza realizzata. Si avviava un contenzioso civile, terminato nell’anno 2014, in cui le parti riconoscevano reciprocamente la risoluzione per inadempimento dell’originario contratto del 2011, procedendo quindi alla retrocessione del restante compendio immobiliare.
Nel 2019, però, l’agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 2014, in cui si contestava l’indeducibilità della minusvalenza derivante dalla risoluzione della compravendita in quanto, indipendentemente dalla qualificazione operata dalle parti, si sarebbe verificato un vero e proprio ritrasferimento ex nunc della proprietà in favore dell’originario cedente, con effetto traslativo e conseguente esclusione di minusvalenze deducibili.
La società impugnava l’avviso di accertamento. Il giudice di primo grado, aderendo alla tesi dell’Ufficio, riteneva che il contratto del 2014 fosse novativo e che, conseguentemente, le parti avessero voluto realizzare un nuovo trasferimento della proprietà.La società presentava quindi appello alla Cgt Umbria che, al contrario, non ha condiviso la ricostruzione operata dal primo giudice.
La decisione
Secondo la Cgt Umbria, la «retrocessione» disposta dalle parti è strettamente collegata all’accordo risolutorio e riconducibile al mutuo dissenso, ovvero un atto di risoluzione convenzionale che porta alla conclusione di un nuovo negozio, uguale e contrario a quello da risolvere. La risoluzione o ritrattazione di un contratto, infatti, presuppone l’esistenza di un contratto precedente, di cui si vuole estinguere l’efficacia, liberando al contempo le parti dal relativo vincolo, con effetto estintivo delle posizioni giuridiche conseguenti. Pertanto, la risoluzione per mutuo dissenso, così come quella per inadempimento, ha effetto retroattivo e libera il cessionario dall’obbligo di pagare il prezzo.
La Cgt Umbria, pertanto, riconduce la fattispecie nel novero dell’articolo 1458 del Codice civile secondo il quale, ad eccezione dei contratti ad esecuzione continuata o periodica, la risoluzione di un contratto per inadempimento ha tipico effetto retroattivo tra le parti.Seguendo questo orientamento, quindi, la restituzione di un bene precedentemente ceduto comporta la rettifica del relativo ricavo e non un nuovo acquisto, facendo venire meno anche l’originaria plusvalenza.
Fonte: Il Sole 24 ORE