La Cassazione, con la sentenza 11719, ha stabilito che è legittima la ritenuta piena applicata sui dividendi distribuiti dall’Italia a fondi pensione residenti in Stati terzi, laddove detti Stati siano inseriti nella black list dei Paesi che non garantiscono un adeguato scambio di informazioni.
Il caso riguarda un fondo pensione delle Isole Cayman che chiedeva il rimborso delle ritenute versate (all’epoca dei fatti del 27%) sui dividendi di fonte italiana che aveva percepito negli anni dal 2010 al 2012, ritenendo che l’applicazione di tali ritenute determinasse una disparità di trattamento rispetto ai fondi nazionali che non scontano invece alcuna ritenuta sugli utili distribuiti da società italiane.
Il fondo impugnava il silenzio rifiuto dell’Ufficio ma i due giudizi di merito si concludevano con esito negativo. Nel giudizio di Cassazione i giudici hanno ritenuto che ricorressero ragioni imperative di interesse generale idonee a giustificare il differente trattamento e che quindi doveva ritenersi esclusa la violazione della libertà fondamentale di circolazione dei capitali di cui all’articolo 63 del Tfue. Infatti, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di giustizia, qualora la concessione di un beneficio sia subordinato al soddisfacimento di condizioni il cui rispetto può essere verificato ottenendo informazioni dalle autorità competenti, lo Stato può negare la concessione del vantaggio nell’ipotesi in cui, segnatamente per l’assenza di un obbligo pattizio, risulti impossibile acquisire dallo Stato terzo tali informazioni (17/10/2013, Welte, C-181/12) I fondi extra Ue (non black list).
La sentenza si inserisce nel recente filone giurisprudenziale con cui la Corte di cassazione ha affrontato la questione afferente il regime fiscale dei dividendi percepiti da fondi pensione extra Ue non black list, approdando in modo condivisibile a differenti conclusioni (sentenze gemelle 25691 e 25692 e sentenza 25963 del 2022).
Nei casi esaminati alcuni fondi statunitensi avevano chiesto il rimborso della differenza tra la ritenuta subìta sui dividendi di fonte italiana con aliquota convenzionale del 15%, o domestica del 27%, e l’imposta sostitutiva dell’11%, all’epoca dei fatti ordinariamente applicata ai fondi pensione italiani sul risultato netto conseguito.
In tale occasione, la Corte ha stabilito che il trattamento fiscale discriminatorio dei fondi pensione extra Ue rispetto a quelli nazionali contrastasse con il citato articolo 63 del Tfue, essendo in grado di dissuadere le società residenti in uno Stato terzo dall’effettuare investimenti nell’Unione.
Per i giudici il trattamento discriminatorio doveva ritenersi, in questo caso, incompatibile con il diritto Ue in quanto tra Italia e Stati Uniti è in vigore una convenzione che consente alle amministrazioni finanziarie nazionali un adeguato scambio di informazioni (sentenza della Corte di giustizia “emerging markets” C-190/12 del 2014).
Alla luce di tale principio, e considerando che l’imposta sostitutiva che scontano i fondi nazionali è stata elevata dall’11% al 20%, ne deriva che attualmente i dividendi percepiti dai fondi pensione extra Ue non black list, ricorrendone le condizioni, dovrebbero scontare la ritenuta del 20% (ovvero quella ridotta convenzionale se sono treaty entitled).
Qualora, invece, venga applicata una ritenuta più alta (ad esempio, pari al 26%) il fondo sarebbe legittimato a chiedere il rimborso entro il termine decadenziale di 48 mesi.
L’eventuale diniego dell’Ufficio, espresso o tacito, potrebbe essere impugnato dal fondo pensione dinanzi alla Cgt competente.
Fonte: Il Sole 24 ORE