L’agevolazione Ace (Aiuto alla crescita economica: articolo 1 Dl 201/2011), oltre ad avere un effetto positivo ai fini delle imposte sui redditi, riduce anche la base imponibile contributiva per la gestione Inps di commercianti e artigiani (Ivs). È quanto emerge dalla sentenza 17295/2023 della sezione Lavoro della Cassazione (depositata lo scorso 16 giugno) il cui effetto è sicuramente dirompente, poiché in aperto conflitto contro la consolidata posizione assunta dall’Inps.
La pronuncia interessa non solo le imprese individuali e i soci di società di persone, ma anche quelli delle società di capitali soggetti alla contribuzione Ivs.
Secondo la Corte, alla luce del disposto di cui all’articolo 3-bis del Dl 384/92 – in base al quale l’ammontare del contributo annuo dovuto dagli artigiani e dagli esercenti attività commerciale è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono – e della circostanza che l’Ace è un importo che riduce il reddito d’impresa imponibile – il vantaggio deve essere riconosciuto tanto sulla base imponibile fiscale quanto su quella contributiva.
Il reddito imponibile ai fini contributivi va, quindi, calcolato al netto e non al lordo della suddetta agevolazione, contrariamente a quanto da sempre sostenuto dall’Inps, sia in sede di giudizio che nei propri documenti di prassi, a partire dalla circolare 90 del 27 giugno 2012 sino ad arrivare alla circolare 52 del 7 giugno scorso.
Secondo la Suprema corte, una conferma indiretta di tale conclusione si rinviene nel disposto dell’articolo 8, comma 3, del decreto ministeriale di attuazione (Dm 14 marzo 2012 – attualmente articolo 8, comma 8, Dm 3 agosto 2017), che espressamente indica a quali specifici fini – diversi dall’imponibile fiscale – l’importo agevolato assume rilevanza per il contribuente (individuazione dell’aliquota fiscale marginale e determinazione dell’entità delle detrazioni. In sostanza, dove il legislatore ha voluto che il beneficio non assumesse efficacia lo ha detto espressamente, mentre nulla ha specificato in merito alla sua incidenza sull’imponibile contributivo.
Nel caso di specie, la Cassazione ha confermato la tesi dell’impresa secondo cui la base contributiva va determinata al netto dell’agevolazione, tesi peraltro già accolta dal Tribunale in primo grado e della Corte d’appello di Firenze.
Ora si tratta di capire se ci sarà o meno il dietrofront dell’istituto, decisivo (almeno prudenzialmente) per il comportamento da adottare a cura degli operatori, alle prese in questi giorni con i calcoli dei contributi dovuti in base al reddito.
Sulla base di questo principio, infatti, taluni potrebbero valutare di ridurre i versamenti a saldo 2022 ed in acconto 2023 che gli imprenditori ed i soci delle imprese stanno determinando, ed a questi fini la proroga al 20 luglio (ovvero 31 luglio con la maggiorazione) per i soggetti Isa potrebbe in effetti servire ad avere qualche settimana in più per ragionare su quale comportamento adottare, anche in attesa di eventuali nuove istruzioni dall’Inps.
Inoltre, laddove la posizione giurisprudenziale si consolidasse, si aprirebbero altresì scenari di richiesta di rimborso per le imprese, per tutti i contributi versati in eccesso e non ancora prescritti. Assai significativo, del resto, potrebbe essere l’eventuale rimborso riferito alla contribuzione calcolata nel modello Redditi 2022 relativamente al 2021, stante l’applicazione della Super-Ace di cui all’articolo 19 del Dl 73/2021, con un beneficio del 15% sull’incremento di capitale proprio intervenuto nel periodo nel limite di cinque milioni di euro.
Fonte: Il Sole 24 ORE