La deducibilità delle spese di sponsorizzazione si basa su una valutazione di inerenza qualitativa, giustificata dalla correlazione tra costi e attività imprenditoriale e, non, sul rapporto tra costi e ricavi o la corrispondenza tra attività svolta dalla società sponsorizzata e dall’ente sponsorizzante. È il principio confermato dalla Cassazione che, accogliendo il ricorso del contribuente, ha rimesso gli atti al giudice dell’appello il quale, a sua volta, ha riformato la decisione di primo grado fondata su valutazioni di carattere quantitativo, ritenute inidonee ad escludere l’inerenza dei costi dedotti.
Così la sentenza 414/4/2023 della Cgt Toscana ha accolto l’appello di un contribuente avverso un avviso di accertamento con cui venivano recuperati a tassazione costi relativi a spese di sponsorizzazione, ritenuti non inerenti sulla base della sproporzione del costo rispetto al potenziale ritorno economico e d’immagine, nonché sulla disomogeneità delle attività svolte tra società sponsorizzata ed ente sponsorizzante.
La correlazione
Secondo la Cgt Toscana, i criteri utilizzati dal fisco per escludere l’inerenza del costo risultano inadeguati in quanto, in primis, la correlazione non deve essere effettuata tanto tra costi e ricavi ma tra costi e attività imprenditoriale. Diversamente, l’amministrazione finanziaria si sostituirebbe all’imprenditore nelle scelte aziendali, con conseguente valutazione del grado di rischio e congruità dei costi sostenuti.
Non si valuta l’utilità del costo
Non si deve quindi compiere alcuna valutazione in termini di utilità del costo, anche solo potenziale o indiretta, in quanto il giudizio di inerenza presuppone esclusivamente un’analisi sulla riconducibilità del costo all’attività d’impresa (i.e. la promozione del marchio).
Nel campo delle sponsorizzazioni è infatti improponibile, se non impossibile, individuare un ammontare “congruo” considerato che queste spese, di solito, sono sostenute nella prospettiva di aumentare i ricavi senza alcuna garanzia circa il raggiungimento dell’obiettivo.
In sintesi, pur rimanendo i concetti di antieconomicità e incongruità (meri) indici relativi della mancanza di inerenza, per la deducibilità dei costi non occorre che gli stessi abbiano portato un definitivo vantaggio economico.
Il settore di riferimento
La seconda contestazione mossa dagli accertatori riguardava poi il fatto che le sponsorizzazioni avvenivano in un contesto, quello delle corse automobilistiche, estraneo rispetto al settore di riferimento della società. Anche in questo caso, l’articolo 108, comma 2, primo periodo, del Tuir nulla dispone in merito al concetto di omogeneità dell’attività svolta dalle parti, disponendo esclusivamente che le spese di pubblicità sono tali se finalizzate alla realizzazione di iniziative tendenti alla pubblicizzazione dell’attività svolta, al fine di ottenere un incremento vendita di quanto realizzato. Semmai, le spese di pubblicità devono recare un nesso logico tra l’attività dello sponsor e la promozione dell’immagine dello sponsor, tale da renderlo idoneo ad incidere positivamente sui ricavi aziendali.
Fonte: Il Sole 24 ORE