Che fine ha fatto la sanatoria delle criptoattività? E come occorre comportarsi nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2022?
Si tratta di due interrogativi che incominciano a porsi tra gli addetti ai lavori, dopo le norme contenute nella legge di Bilancio 2023. Norme che, però, come si è già riportato su Il Sole 24 Ore, destano alcune perplessità.
La più rilevante riguarda proprio la sanatoria. Innanzitutto, non era mai stato previsto un “condono” che non stabilisca il termine entro il quale eseguirlo. La norma, infatti, non fissa alcuna data entro cui presentare l’istanza di emersione: il termine deve (ancora) essere fissato da un provvedimento attuativo delle Entrate (che deve stabilire anche il contenuto e le modalità di emersione). Tutto sommato, appare singolare che il termine di legge di una sanatoria venga fissato da un provvedimento di attuazione della prassi.
Peraltro, come altre volte già notato, risulta una sorta di ossimoro fiscale il fatto che, da una parte, la legge di Bilancio fissi per la prima volta ex lege l’obbligo di indicazione delle criptoattività nel quadro RW, mentre, dall’altra, preveda una sanatoria per il passato. Come si ricorderà, per il passato solo la prassi aveva affermato la necessità di indicare nel quadro RW le valute virtuali (quindi non di tutte le criptoattività), senza che la legge lo prevedesse (tant’è che la norma viene fatta ora).
Tra i molteplici dubbi, inoltre, non è mai stato precisato il trattamento sanzionatorio della mancata indicazione delle crypto, considerato che le penalità da quadro RW risultano ancorate alla nozione di territorio (Paesi non black list e Paesi black list), mentre in questo caso si è in presenza di fenomeni “atopici” (il problema si porrà, comunque, anche dal 2023 in poi).
Ricordiamo poi che, se si vuole aderire alla sanatoria per il passato anche ai fini reddituali (pagando il 3,5% sul valore delle attività, oltre allo 0,5% per le violazioni da quadro RW), l’Agenzia aveva precisato (risposta a interpello 788/2021) che le operazioni crypto su crypto relative a valute virtuali – quando la giacenza media risulta superiore a 51.645 euro per 7 giorni lavorativi continui – si dovevano considerare rilevanti, mentre ora (dal 2023) sembrerebbe che non lo siano.
Poi numerosi interrogativi si pongono in relazione alla dichiarazione per il periodo d’imposta 2022.
Le nuove disposizioni, anche in tema di tassazione reddituale, partono dal 2023: questo non vuol dire, però, che prima le crypto non fossero tassate (un reddito può benissimo prima essere considerato, ad esempio, di capitale e poi reddito diverso oppure venire disciplinato diversamente nell’ambito della stessa categoria reddituale). Il fatto è che la legge di Bilancio contiene una norma (comma 127) in cui viene previsto che le operazioni eseguite prima del 2023 «si considerano realizzate ai sensi dell’articolo 67» del Tuir mentre eventuali minusvalenze possono essere portate in deduzione ai sensi dell’articolo 68, comma 5, dello stesso Tuir.
Sembra che l’intendimento fosse quello di farne una norma a carattere interpretativo (quindi valevole per il passato). Però, tralasciando che manca ogni riferimento al fatto che si tratta di norma interpretativa, occorre rilevare l’indeterminatezza della previsione, considerato che l’articolo 67 del Tuir disciplina le ipotesi più variegate (dalle cessioni infraquinquennali degli immobili agli obblighi di fare, non fare e permettere). Il che porterebbe a escludere la natura interpretativa della norma, così come quella di disposizione cosiddetta di qualificazione. È vero che quella che era la volontà del legislatore la si può indirettamente cogliere dalla menzione del comma 5 dell’articolo 68 – visto che lì si fa riferimento alle ipotesi contemplate dalle lettere c-ter) e c-quater) dell’articolo 67 – però è veramente irto il percorso per considerare la previsione come interpretativa.