La Fed ha alzato come previsto il tasso di riferimento portandolo al 5-5,25 per cento. Il voto a favore della nuova stretta è stato unanime.
La Fed ha alzato come previsto il tasso di riferimento dello 0,25% portandolo al 5-5,25 per cento. Il voto a favore della nuova stretta è stato unanime.
Cambiano però le indicazioni – generalmente scarse – sui passi futuri: nel comunicato ufficiale pubblicato al termine della riunione la banca centrale Usa non compare più la frase: «Il comitato (di politica monetaria, Fomc, ndr) anticipa che addizionali rialzi possono essere appropriati», ma si dice semplicemente che «nel valutare in che misura possano essere appropriati ulteriori rialzi» si terrà conto – come nel passato – della stretta finora realizzata, dei ritardi con cui la politica monetaria incide su attività economia e inflazione.
Non è una sfumatura: d’ora in poi i rialzi potrebbero essere più distanziati nel tempo. Al 5-5,25%, del resto, il costo del credito Usa è arrivato al livello previsto a marzo dai governatori per fine anno, anche se gli analisti si aspettavano un ultimo aumento dei tassi a giugno. In ogni caso, ha detto in conferenza stampa il presidente Jerome Powell, «siamo pronti a fare di più se saranno necessari maggiori restrizioni», aggiungendo che «valuteremo» la questione della pausa «a giugno», di cui a maggio si è discusso relativamente poco. Non è possibile dire con sicurezza, ha precisato, che l’attuale livello dei tassi sia sufficientemente restrittivo, anche se, ha detto, «credo sia restrittivo».
Prima di parlare di politica monetaria Powell, in apertura dell’incontro con i giornalisti, ha voluto precisare che il settore bancario «è ampiamente migliorato da marzo e il sistema è sano e resiliente». Eventi come quelli che hanno travolto la Silicon Walley Bank «non si ripeteranno», anche perché la Fed «ha imparato la lezione». «Ho un po’ di rimpianti», ha detto Powell, che ha riconosciuto gli errori della banca centrale.
Poco variata la diagnosi sull’andamento dell’economia: la crescita è proseguita a un ritmo «modesto», mentre l’aumento dell’occupazione è stato robusto e il tasso di disoccupazione è rimasto basso. Ci sono segnali, ha però aggiunto Powell, che segnalano che domanda e offerta di lavoro stanno «tornando a un miglior equilibrio». È aumentato il tasso di partecipazione, mentre ci sono indicazioni di un rallentamento dei salari anche se, al +5% annuo, il loro incremento è ancora lontano dal 3% compatibile con una crescita sostenibile nel lungo periodo.
Sul mercato del lavoro, però, «la domanda supera ancora l’offerta di lavoratori disponibili», ha precisato il presidente e questo, ha poi aggiunto, può permettere agli Usa di evitare una recessione, per quanto blanda. «La possibilità che si eviti una recessione è, secondo me, più probabile di una recessione», che pure non può essere esclusa.
Le pressioni sull’inflazione – che non sono legate solo ai salari – restano però elevate e la strada verso il ritorno all’obiettivo del 2% è ancora lunga. La politica monetaria restrittiva comincia in ogni caso a pesare sul settore immobiliare, per l’aumento dei tassi sui mutui, e in parte sugli investimenti fissi.
Non è mancata un’indicazione forte, e inattesa, sulla possibilità che il Congresso non aumenti il limite massimo al debito pubblico, superato a gennaio: argomento pure attiene alla sfera della politica fiscale e al confronto tra i partiti: «Nessuno dovrebbe presupporre che la Fed può proteggere l’economia dai potenziali effetti di breve e lungo termine» di un default sul debito pubblico.
Fonte: Il Sole 24 ORE