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Cessioni intra Ue, scatta l’Iva senza l’iscrizione al Vies

Se il cedente non è iscritto al Vies viene meno la non imponibilità della cessione intra Ue, ma non si producono effetti sull’acquisto.

Se il cedente non è iscritto al Vies viene meno la non imponibilità della cessione intra Ue, ma non si producono effetti sul lato dell’acquisto intra Ue.

Alla luce delle modifiche apportate all’articolo 138 della direttiva Iva dalla direttiva (Ue) 2018/1910 e recepite nel nostro ordinamento all’articolo 41, comma 2-ter, del Dl 331/1993, la comunicazione del numero di identificazione del cessionario, attribuitogli da uno Stato membro diverso da quello del cedente, diventa un requisito sostanziale per considerare non imponibile la cessione intraunionale nel Paese da cui il bene è spedito/trasportato. 

Nel percorso che porterà verso il regime definitivo, il legislatore unionale ha avvertito il bisogno di dettare alcune misure rapide, appunto le « quick fixes», al fine di migliorare il funzionamento del regime dell’Iva nel contesto degli scambi transfrontalieri B2B. In questo contesto deve leggersi la modifica alle condizioni che consentono al fornitore, che effettua scambi con soggetti passivi stabiliti in altri Paesi, di fatturare senza imposta. Dunque, affinché ciò sia possibile è necessario che:

• il cedente e il cessionario siano entrambi operatori economici;

• il cessionario sia identificato ai fini Iva nel Paese di destinazione e abbia comunicato tale numero di identificazione al cedente;

• la prestazione sia a titolo oneroso;

• sia trasferito il diritto di proprietà o altro diritto reale sui beni;

• vi sia un’effettiva movimentazione dei beni da uno Stato membro all’altro;

• sia presentato l’Intrastat-cessioni.

La mancanza di anche una sola condizione tra quelle indicate determina il venir meno del regime di non imponibilità. 

La risposta a interpello 230/2023 delle Entrate applica la norma ad un caso pratico, chiarendo inoltre che se il cessionario non comunica il suo numero di iscrizione al Vies non per questo l’operazione da cessione intracomunitaria B2B si trasforma in vendita a distanza B2C. Trattasi quest’ultima di una tipologia di operazione che si realizza verso determinati destinatari: in primis le persone fisiche, poi gli organismi internazionali e consolari, infine (con esclusione dei beni soggetti ad accisa) i cessionari non tenuti ad applicare l’Iva sugli acquisti intraUe e che non hanno optato per l’applicazione della stessa (ad esempio, i soggetti in regime dei minimi o forfettario). 

Ma, quindi, qual è il corretto trattamento dell’operazione riguardo ai profili Iva? Nel silenzio del documento di prassi, si ritiene che, se viene meno il regime di non imponibilità ex articolo 138 della direttiva Iva (articolo 41, comma 1, lettera a, del Dl 331/1993), l’operazione andrebbe fatturata con imposta nel paese del fornitore. Ma attenzione. 

Secondo la Commissione europea, il fatto che il cedente addebiti l’Iva sulla cessione perché non sono soddisfatte le condizioni di cui al citato articolo 138 non produce effetti sul trattamento Iva dell’acquisto intraUe effettuato dal cessionario nel Paese di destinazione della merce (si vedano le note esplicative alle quick fixes). 

Ciò sembrerebbe significare che, seppure il cedente debba fatturare con imposta la cessione priva di uno dei requisiti per la non imponibilità, il cessionario dovrà trattare l’operazione, comunque, al pari di un acquisto intraUe. 

Tale conclusione deriverebbe, infatti, dall’applicazione dell’articolo 16 del regolamento (Ue) 282/2011, secondo cui lo Stato membro di arrivo della spedizione/trasporto dei beni nel quale è effettuato un acquisto intraUe esercita il proprio potere impositivo indipendentemente dal trattamento Iva applicato all’operazione nello Stato membro di partenza degli stessi.

In altre parole, tale norma sembrerebbe “accettare” una “doppia imposizione” dell’operazione, tassata prima nello Stato del cedente (come operazione interna) poi nello Stato del cessionario (come acquisto intraUe con Iva assolta in reverse charge). Con la conseguenza che, nel caso in cui il cessionario sia italiano, la mancata applicazione del reverse charge in riferimento alla fattura con Iva di un altro Paese Ue implicherebbe l’irrogazione della sanzione prevista dall’articolo 6, comma 9-bis, DLgs 471/97 compresa fra 500 euro e 20mila euro. 

Un’ultima osservazione è da farsi al riguardo e ci viene suggerita dalle note esplicative. Se l’acquirente, che può dimostrare di essere un soggetto passivo che agisce in quanto tale al momento dell’acquisto, comunica l’iscrizione al Vies al cedente in una fase successiva, e non vi è alcuna indicazione di frode o abuso, il cedente può rettificare la fattura secondo le norme stabilite dall’ordinamento domestico. In altre parole, la buona fede dell’acquirente permette di superare la carenza della condizione originaria.

 

FONTE: Il Sole 24 ORE

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