Cerca
Close this search box.

Un’agenzia per usare l’Ia nella giustizia

Un elemento di debolezza del Ddl è l’affidamento al ministero della Giustizia della disciplina dell’impiego dei sistemi di intelligenza artificiale da parte degli uffici giudiziari

La digitalizzazione è il futuro anche per la giustizia ed impone una nuova prospettiva che impatta tutti gli aspetti della giurisdizione e delle professioni giuridiche. Processo oggi in grave ritardo. Non vi è adeguata consapevolezza del massiccio utilizzo di algoritmi e intelligenza artificiale già oggi. L’approccio che viene favorito è sostanzialmente difensivo, per difendere l’umanesimo dell’attività legale e giudiziaria ed evitare automatismi e stravolgimenti. Il disegno di legge governativo in tema di regolamentazione dell’Ia sulla giustizia limita il suo utilizzo “esclusivamente per l’organizzazione e la semplificazione del lavoro giudiziario, nonché per la ricerca giurisprudenziale e dottrinale”, riservando sempre “al magistrato la decisione sulla interpretazione della legge, sulla valutazione dei fatti e delle prove e sulla adozione di ogni provvedimenti.”

Normativa ambigua e insufficiente dato che tra quanto consentito e quanto vietato vi è un’amplissima zona grigia non regolamentata. Non solo, ma non si interviene sull’ampio campo che può davvero rappresentare un rischio per la professione legale e per la sua qualità, delle consulenze on line nelle quali occorrerebbe vietare quelle selvagge ed imporre una certificazione e completezza dei dati sulle quali si basano.

Manca inoltre un’iniziativa in positivo, in parallelo alle pur indispensabili regolamentazioni, per sottolineare e far emergere le grandi potenzialità delle varie intelligenze artificiali e per valorizzare le possibili applicazioni per le professioni giuridiche e supportare il lavoro degli operatori. Occorrerebbe un laboratorio nazionale sull’utilizzo dell’Ia generativa nella giustizia chiamando i migliori cervelli dall’università, dalla magistratura, dall’avvocatura, dalla dirigenza e dal personale giudiziario.

Senza questo saremo sempre ad arrancare dietro i progressi tecnologici che o vengono governati o, al di là dei divieti formali, prevarranno.

Il secondo elemento di debolezza del Ddl è l’affidamento al ministero della Giustizia “della disciplina dell’impiego dei sistemi di intelligenza artificiale da parte degli uffici giudiziari.”

Il monopolio ministeriale era inevitabile fino a quando l’informatica era un semplice supporto, ma non è più giustificabile da quando la digitalizzazione è diventata sempre più formante e cardine della giurisdizione, componente essenziale della stessa gestione di tutti gli aspetti dei palazzi di giustizia. Oggi la prospettiva è molto più intrinseca alla giurisdizione e richiede quindi apporti e interlocuzioni con altri soggetti. Il Csm in primis, chiamato dalla Costituzione a tutelare la giurisdizione, ma anche l’avvocatura chiamata dall’articolo 24 della Costituzione alla tutela dei diritti. Interlocuzione e collaborazione che è dovuta a livello costituzionale, ma che si rende necessaria anche a livello funzionale.

Il ministero della Giustizia, che gestisce l’informatica giudiziaria attraverso una sua direzione generale, evidenza sempre più gravissimi limiti di governance. Limiti ben dimostrati dai ritardi e dalle difficoltà incontrate con il farraginoso passaggio al telematico degli uffici minorili e con il, si spera temporaneo, fallimento di App, programma del nuovo processo telematico.

Oggi vi sono problemi di metodo, di gestione, ma anche di impostazione complessiva.

Di metodo perché manca la trasparenza sulle progettualità e soffre una lontananza dagli uffici giudiziari e dall’avvocatura, con una forte autoreferenzialità ministeriale e senza una previa analisi di organizzazione sulle esigenze dei diversi soggetti che vi operano. Di gestione perché mancano tecnici informatici e il ministero non riesce neppure ad assumerne, dato che le retribuzioni offerte sono del tutto fuori mercato.

La prospettiva è di una crescente privatizzazione senza controlli.

Di impostazione in quanto il ministero nel settore non ha più un’indispensabile unitarietà, con una gestione frazionata in due dipartimenti e due direzioni generali, con difficoltà di dialogo e di comunità di intenti. Con conseguente irrazionalità, frammentazione di competenze, sprechi e difficoltà di sinergia.

La creazione di un laboratorio per le applicazioni di intelligenza artificiale nella giustizia può essere l’occasione per fare un salto di qualità superando la Dgsia, costruendo una nuova governance efficiente e partecipata, con il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali interessati.

Costruire un’agenzia, sempre controllata al 100 % dal ministero della Giustizia, ma con un consiglio di amministrazione nominato di concerto dal ministero e dal Csm e sentito il Cnf che possa garantire agilità e stipendi adeguati e concorrenziali con dipendenti capaci e fidelizzati. Non un ennesimo carrozzone pubblico, ma una struttura agile che assicuri il coinvolgimento di tutti gli operatori della giustizia e possa convogliare saperi ed intelligenze che già oggi esistono negli uffici giudiziari, nell’avvocatura e nell’accademia e che può essere il volano per una vera modernizzazione sul campo della giustizia italiana.

 
Fonte: Il Sole 24ORE

Condividi questo articolo

Notizie correlate

Desideri maggiori informazioni su bandi, finanziamenti e incentivi per la tua attività?

Parla con un esperto LHEVO

business accelerator