Ci sono almeno un paio di spunti sul tema della residenza fiscale delle società che possono essere rinvenuti nelle istruzioni operative contenute nella circolare 20/E/2024 (di seguito la circolare).
Il decreto delegato
Con il Dlgs 209/2023 (attuativo della delega fiscale) sia per le società di persone che per quelle di capitali, accanto al criterio formale della sede legale, onde stabilire se hanno o meno la residenza fiscale italiana, sono stati introdotti i criteri sostanziali della sede di direzione effettiva e della gestione ordinaria in via principale; il primo definito come il luogo della «continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso», e il secondo quello del «continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso» (articoli 5 e 73 del Tuir). Ciò, secondo quanto prevede la delega, per rendere coerente la disciplina domestica in punto di residenza fiscale degli enti con la migliore prassi internazionale e con i trattati contro le doppie imposizioni, coordinando la disciplina medesima con quella della stabile organizzazione.
Orbene, in disparte la valutazione circa l’effettiva realizzazione dell’obiettivo di cui alla delega – vi è in effetti chi rileva come, nonostante la modifica, il quadro sul piano interpretativo concernente la residenza fiscale delle società permanga comunque confuso in ragione della disorganicità del contesto internazionale – una prospettiva interessante per testare i nuovi criteri, senza considerare qui i profili convenzionali, è quella che coinvolge il ruolo dell’attività di direzione e coordinamento e in generale i gruppi.
Direzione e coordinamento
Quanto all’attività di direzione e coordinamento, si tratta dell’attività, svolta dalla capogruppo o da altra società a ciò deputata, che inerisce all’organizzazione ed al funzionamento delle attività del gruppo; implica la sottoposizione dei diversi partecipanti al gruppo ad una unità di indirizzo, la cui vincolatività è affidata a relazioni di natura funzionale, che si sviluppa in termini di accentramento e/o coordinamento di uno o più settori di attività e/o funzioni aziendali.
Il nostro ordinamento, che a determinati fini definisce anche giuridicamente il gruppo, ne recepisce in linea di principio la fenomenologia economica, determinando le conseguenze della attività di direzione e coordinamento svolta da una società o ente nei confronti di un’altra società: in particolare, riconduce all’esercizio di attività di direzione e coordinamento taluni effetti, quali, ad esempio, la pubblicità nei confronti dei terzi e (soprattutto) la responsabilità nel caso di esercizio abusivo (articoli 2497 e successivi del Codice civile).
Proprio la regolamentazione circa l’esercizio abusivo dell’attività di direzione e coordinamento evidenzia come il condizionamento, da parte della capogruppo, delle scelte delle consociate sia un fenomeno affatto lecito.
Le subsidiary
Il tema è allora quello dei relativi confini rispetto all’«alta gestione», solo quest’ultima integrante gli estremi della sede di direzione effettiva, appunto uno dei due criteri sostanziali di nuovo conio cui è affidata la residenza fiscale italiana.
Sul punto la circolare, sulla scia della relazione illustrativa che accompagna il Dlgs 209/2023, secondo cui «ai fini della direzione effettiva, non rilevano le decisioni diverse da quelle aventi contenuto di gestione assunte dai soci né le attività di supervisione e l’eventuale attività di monitoraggio della gestione da parte degli stessi», si esprime chiaramente nel senso che «le decisioni assunte dai soci non rilevano per individuare la sede di direzione effettiva, fatta eccezione per quelle aventi contenuto gestorio»: insomma l’attività di direzione e coordinamento, almeno di regola, non dovrebbe rilevare onde attrarre la residenza fiscale delle subisdiary nella giurisdizione del socio di controllo.
Affermazione del tutto condivisibile benché la linea che separa le normali direttive e raccomandazioni del socio di controllo che non usurpano il ruolo dell’organo amministrativo e l’effettiva ingerenza gestoria del socio in questione è talvolta sottilissima e si fa via via evanescente al decrescere delle dimensioni organizzative dell’ente. Senza poi considerare che anche l’individuazione, all’interno dell’ente, di chi siano i soggetti cui è affidata l’alta gestione dipende dal modello di corporate governance in concreto volta a volta adottato (anche alla luce dell’atto costitutivo, dello statuto e di eventuali patti parasociali), tenendo conto delle singole deleghe nonché delle relative modalità di esercizio.
Ed ancora quanto alla possibile ingerenza gestoria del socio, la presenza di professionisti e trust companies ovviamente non la può escludere a priori, dovendosi valutare a tal fine la regolamentazione contrattuale del rapporto con il socio (incluse eventuali clausole di manleva) in una alla sua effettiva esecuzione.
La gestione ordinaria
Quanto al secondo criterio sostanziale cui si è fatto sopra riferimento ossia quello della gestione ordinaria in via principale ossia il luogo del «continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso», criterio che, a differenza di quello dianzi trattato, si evidenzia in dottrina, riguarda non già il momento volitivo dell’attività sociale, bensì quello meramente esecutivo del day to day management dell’ente, la circolare lo associa al «luogo in cui si esplicano il normale funzionamento della società e gli adempimenti che attengono all’ordinaria amministrazione della stessa»; e ciò prendendo atto che «i fattori di determinazione della gestione ordinaria variano a seconda della conformazione della struttura imprenditoriale, dell’attività caratteristica, nonché dell’organizzazione del complesso aziendale della società o dell’ente».
I servizi a basso valore aggiunto
In tale prospettiva un tema di grande attualità è quello della rilevanza, nei gruppi multinazionali, dei diversi servizi a basso valore aggiunto, si pensi all’assistenza legale, contabile e fiscale, ai servizi di tesoreria, di marketing, It, payroll, eccetera, spesso forniti alle diverse consociate vuoi dalla capogruppo, vuoi dalla consociata a ciò incaricata.
Il complesso di servizi di tal genere può evidentemente assorbire una gran parte del perimetro dell’attività gestoria che caratterizza il day to day management dell’ente, con il rischio che, sulla base di un esame caso per caso, la residenza fiscale del fruitore dei servizi in questione, seppur dotato di una sua “sostanza” organizzativa, possa essere attratta nello Stato del prestatore.