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L’atto di adesione del contribuente col Fisco esclude la confiscabilità del profitto del reato tributario

Lo ha deciso la Cassazione con la sentenza 32282 con la quale i giudici hanno dissequestrato oltre tre milioni di euro

Reati tributari: l’intervenuto adempimento integrale del debito erariale conseguente alla procedura conciliativa con il Fisco, facendo venire meno la pretesa tributaria, implica la caducazione del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente.

Così la Cassazione, con la sentenza n. 32282/2024 depositata in data odierna, con cui i giudici della Terza sezione di Piazza Cavour hanno dissequestrato oltre tre milioni di euro che erano stati appresi preventivamente, a titolo di importo evaso, a carico di due indagati a fini di confisca del profitto del reato di omessa dichiarazione per gli anni 2015 e 2016.

Dunque, con una decisione assunta il 20 giugno scorso, pochi giorni prima dell’entrata in vigore (dal 29 giugno 2024) del Dlgs n. 87/2024 di revisione del sistema sanzionatorio tributario, i Supremi giudici giungono in via interpretativa ad un esito che pare ora trovare esatta conferma nello ius superveniens. Il nuovo comma aggiunto all’articolo 12-bis Dlgs n. 74/2000 dal legislatore delegato del 2024 dispone infatti:

«2. Salvo che sussista il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto altresì conto della gravità del reato, il sequestro dei beni finalizzato alla confisca di cui al comma 1 non è disposto se il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, sempre che, in detti casi, il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti».

Il dictum: procedura conciliativa e ricadute sul sequestro per equivalente

Il dictum in commento muove dalla natura dell’accertamento con adesione per poi affrontare, a legislazione (pre)vigente, il profilo delle conseguenze che l’integrale pagamento del debito tributario, conseguente alla procedura conciliativa con il Fisco, assume rispetto all’adozione ovvero al mantenimento del sequestro preventivo funzionale alla confisca (tributaria) per equivalente disposto in fase di indagini ai sensi dell’articolo 321, comma 2, Cpp in riferimento all’articolo 12-bis Dlgs n. 74/2000.

Si tratta di una questione che, come anticipato, ora è espressamente risolta iure positivo avendo il Dlgs n. 87/2024, tra l’altro, aggiunto un inedito comma 2 al citato articolo 12-bis Dlgs n. 74/2000 ai sensi del quale il sequestro preventivo a fini di confisca non è «disposto» – ma il principio vale, per eadem ratio, anche rispetto al mantenimento (come nella vicenda al vaglio della Corte regolatrice) – se il debito tributario è in corso di estinzione a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione. Viene così confermato quell’atteggiamento di favor legislativo – avviato col Dlgs n. 158/2015, introduttivo dell’articolo 12-bis Dlgs n. 74/2000 e ora proseguito col Dlgs n. 87/2024 – per le forme di definizione del profilo strettamente tributario delle vicende connesse alla violazione delle disposizioni penali del Dlgs n. 74/2000 che consentano comunque all’Erario di conseguire il pagamento delle imposte ritenute dovute.

L’accertamento con adesione

L’accertamento con adesione è un “accordo” stipulato con l’Agenzia delle entrate che consente al contribuente (qualsiasi: persone fisiche; società di persone; associazioni professionali; società di capitali; enti; sostituti d’imposta) di definire le imposte dovute, dirette o indirette, ed evitare in tal modo l’insorgere di una lite tributaria, ottenendo la riduzione delle sanzioni al terzo del minimo, quant’anche l’Ufficio intenda irrogarle nella misura massima.

Esso può riguardare tutte le tipologie di reddito, è esteso a qualsiasi fattispecie accertativa e può essere raggiunto sia prima dell’emissione di un avviso di accertamento che dopo un controllo eseguito dall’Ufficio o dalla Guardia di Finanza (accesso, ispezione, verifica), sempre che il contribuente non presenti ricorso davanti al giudice tributario.

Le pene previste per i delitti tributari sono diminuite sino alla metà (prima del Dlgs n. 87/2024: fino ad un terzo) e non si applicano le sanzioni accessorie qualora il contribuente provveda alla estinzione dei debiti tributari prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, anche a seguito di adesione, a condizione che il pagamento riguardi altresì le sanzioni amministrative e interessi (articolo 13-bis del Dlgs n. 74/2000, come ora sostituito dal Dlgs n. 87/2024). L’attenuante speciale dell’estinzione del debito tributario è rimasta condizione per accedere al patteggiamento anche all’esito della odierna riforma del 2024.

Solo per la compensazione di crediti non spettanti, l’effetto è la non punibilità dei reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater Dlgs n. 74/2000 (articolo 13, comma 1, del Dlgs n. 74/2000). In merito ai reati caratterizzati da una soglia di punibilità come la dichiarazione infedele ex articolo 4 del Dlgs n. 74/2000, parte della giurisprudenza di legittimità ha affermato che se la pretesa è condotta sotto la soglia il reato non sussiste (Cassazione penale, Sezione IV, n. 7615/2014, Bova; nel senso, invece, che il giudice penale non è vincolato dall’accordo di adesione, Sezione III, n. 51038/2018, Ced 274094).

Gli effetti dell’atto di adesione sul sequestro preventivo a fini di confisca tributaria

Quanto agli effetti che l’atto di adesione esplica con riferimento alla misura cautelare reale funzionale alla confisca per equivalente, come bene spiega oggi la Corte di cassazione – si ribadisce: intervenuta prima dell’entrata in vigore del Dlgs n. 87/2024 – essi non possono che ridondare a favore del contribuente che abbia integralmente adempiuto al proprio debito tributario. Ciò perché la ragione della confisca, in materia penale tributaria, risiede proprio nel recupero della pretesa tributaria, come accertata dall’Agenzia delle entrate, sicché se questa viene meno in conseguenza della procedura conciliativa, viene meno anche la funzione del vincolo reale riferito all’ammontare dell’imposta evasa (costituente il vantaggio direttamente derivante dalla condotta illecita e, in quanto tale, riconducibile alla nozione di “profitto” del reato tributario: così ex multis Cassazione penale, Sezione III, n. 1199/2012, Ced 253480).

In altri termini, stante la (sopravvenuta) assenza di profitto, in conseguenza della procedura di accertamento con adesione seguita dall’integrale versamento del debito tributario – statuiscono i Supremi giudici con la sentenza in commento – «non vi è più spazio per il provvedimento ablatorio» assunto in fase di indagini preliminari ex articolo 321, comma 2, Cpp, «impregiudicato il futuro giudizio di merito in ordine alla sussistenza del reato».

Si tratta di un approdo, quello odierno, in linea con quanto già affermato dalla Corte di legittimità in tema di delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, secondo i quali il profitto, confiscabile anche per equivalente, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria (Cassazione penale, Sezione III, n. 39187/2015, Lombardi Stronati, Ced 264789; Id., n. 19994/2017, Bifulco, Ced 269763; Id., n. 8226/2021, Soave, Ced 281586).

In conclusione, il principio del “doppio binario” – ossia il fatto che le determinazioni assunte dall’Agenzia delle entrate non sono vincolanti per il giudice penale – trova applicazione in relazione alla sussistenza degli elementi tipici di questo o quell’illecito penal-tributario, ma non in relazione alla determinazione del profitto del reato, laddove il creditore, ossia l’Agenzia delle entrate, a seguito del pagamento di quanto dovuto dal contribuente, dichiari di non avere più nulla a pretendere dal contribuente stesso.

 
Fonte: Il Sole 24ORE

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