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Dividendi, ritenuta svizzera detratta dall’imposta italiana

I giudici tributari si allineano alla giurisprudenza della Cassazione sulla convenzione con gli Stati Uniti. Negato il tax credit solo se la ritenuta è richiesta dal beneficiario

Anche per i dividendi dalla Svizzera assoggettati a imposta “secca” del 26% in Italia le persone fisiche residenti in Italia hanno diritto di detrarre la ritenuta d’imposta svizzera (15% in base alla convenzione) dall’imposta italiana. In questo senso la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano (sentenza 3184/2024) che si allinea alla giurisprudenza della Cassazione (sentenze 25698/2022 e 10204/2024) relativa alla convenzione con gli Stati Uniti (si veda anche Cgt di primo grado di Siena n. 68/2024).

L’orientamento giurisprudenziale si basa sul fatto che l’articolo 24, secondo paragrafo della convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Svizzera – nega il diritto al credito d’imposta sono nel caso in cui il reddito venga assoggettato in Italia a ritenuta a titolo di imposta «su richiesta del beneficiario del reddito» – non sarebbe più applicabile da quando (1° gennaio 2004) i dividendi di fonte estera sono soggetti a ritenuta d’imposta o imposta sostitutiva «per legge» e non «su richiesta» del contribuente; di conseguenza la limitazione del diritto a credito d’imposta prevista dalla convenzione non è più applicabile.

La questione non riguarda solo le convenzioni con gli Stati Uniti e la Svizzera, ma tutte quelle firmate prima di quella con Cipro (4 giugno 2009). La convenzione con Cipro, è infatti la prima in cui, nell’articolo dedicato ai metodi per evitare le doppie imposizioni, la frase che limita l’applicazione del credito d’imposta nel caso in cui il reddito sia stato assoggettato in Italia ad imposta “secca” su richiesta del contribuente è stata modificata in modo da negare il credito d’imposta in tutti casi in cui la tassazione d’ingresso in Italia sia avvenuta a titolo definitivo; non solo «su richiesta del contribuente», ma «anche» su richiesta del contribuente oppure «su richiesta o meno del contribuente».

Le convenzioni che sono state “aggiornate” tenendo conto dell’evoluzione della norma italiana e che quindi non danno diritto al tax credit sui dividendi percepiti da persone fisiche fuori dall’impresa sono:

– i trattati con Arabia Saudita, Barbados, Cipro, Corea del Sud, Filippine, Hong Kong, Malta, Panama, Principato di Monaco, Romania, Singapore e Taiwan, che contengono la frase «anche su richiesta del contribuente»; in termini simili le convenzioni con la Libia non ancora ratificata;

– i trattati con Cile, Colombia e Giamaica, che contengono la locuzione ancora più esplicita «su richiesta o meno del contribuente». In termini simili la nuova convenzione con la Cina non ancora ratificata.

Negli ultimi trattati stipulati dall’Italia e non ancora ratificati (Kossovo e Liechtenstein), il paragrafo che disciplina l’esclusione dal credito d’imposta per i redditi assoggettati a tassazione in Italia a titolo d’imposta non viene del tutto riprodotto, ma viene sancito espressamente che la detrazione spetta secondo la disciplina italiana che, come noto, concede il tax credit solo per i redditi di fonte estera che concorrono alla formazione del reddito complessivo imponibile italiano.

Tutti gli altri trattati contengono la formula «su richiesta del contribuente» o «su richiesta del beneficiario» e quindi – applicando la logica adottata dalla Cassazione – danno diritto al credito d’imposta.

Una perplessità è sorta per il fatto che tutte le convenzioni italiane stabiliscono espressamente che l’ammontare del credito d’imposta non può eccedere la quota di imposta italiana attribuibile agli elementi di reddito tassati all’estero «nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo». Ciò fa pensare che in ogni caso i redditi esteri tassati a titolo d’imposta (che non concorrono al reddito complessivo) non diano luogo a tax credit. Nella sentenza della Cassazione n. 10204/2024 citata, tuttavia, l’obiezione viene superata sotto diversi profili. In primo luogo, viene escluso che nella convenzione vi sia un rinvio esplicito alle norme interne italiane; comunque le disposizioni interne non debbono porsi in contrasto con le finalità proprie delle Convenzioni in materia fiscale, fra le quali quella di evitare la doppia imposizione internazionale. Inoltre, la locuzione non riguarda la spettanza del credito d’imposta, ma la sua quantificazione. Infine l’espressa esclusione prevista dalle convenzioni italiane per i redditi soggetti ad imposta secca denota che quando l’esclusione non opera, la detrazione spetta anche se il reddito non concorre alla formazione dell’imponibile complessivo.

 
Fonte: Il Sole 24ORE

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