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Crisi di liquidità non transitoria e derivante da eventi esterni come causa di non punibilità ex DLgs. 87/2024

Nella pronuncia n. 30532 del 2024, la Cassazione fà il punto sulla speciale causa di non punibilità per i reati di omesso versamento di IVA e di ritenute alla fonte

Dobbiamo evidenziare che l’art. 13 co. 3-bis del DLgs. 74/2000, come introdotto dal DLgs. 87/2024, ha previsto (finalmente) una speciale causa di non punibilità per i reati di omesso versamento di IVA e di ritenute alla fonte, se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore (nel nostro caso gli amministratori), cause che sono sopravvenute rispetto all’esecuzione della ritenuta e all’incasso dell’IVA.

Con la nuova norma si attribuisce uno specifico rilievo ad evento importante come è la crisi di liquidità ed infatti il testo normativo recita come segue: ”… I reati di cui agli articoli 10-bis e 10-ter non sono punibili se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidita’ dell’autore dovuta alla inesigibilita’ dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibilita’ di azioni idonee al superamento della crisi …”.

La Corte di Cassazione, con la pronuncia 30532 del 2024 , ha applicato la causa di non punibilità ad un soggetto che operava in qualità di monomandatario con l’Ilva (situazione ben nota) e quindi ha annullato con rinvio una decisione della Corte di Appello di Lecce.

I giudici hanno preso in considerazione la scelta, ragionevole, di continuare a pagare gli stipendi ai lavoratori (e questa è una considerazione che incide anche sui sindaci e sui revisori).

Andando in maggior dettaglio possiamo vedere che il caso trae origine da un ricorso avverso un provvedimento della Corte di Appello di Lecce che “… con sentenza del 05/07/2023 … ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Taranto, in data 13/09/2022, con la quale G. G. era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, a lui ascritto – relativamente agli anni di imposta 2014 e 2015 – in qualità legale rappresentante della S. s.r.l….”.

Ovviamente il condannato ricorre e quindi evidenzia che si deve censurare la sentenza di Appello “… per aver ignorato le cause, indipendenti dalla volontà del ricorrente, che avevano determinato l’inadempimento dell’obbligazione tributaria: al riguardo, si deduce che la S. svolgeva esclusivamente lavori nell’ambito della gestione dello stabilimento siderurgico effettuata dall’ILVA s.p.a., agendo come monomandatario di quest’ultima. Le vicende giudiziarie che avevano travolto l’ILVA (proprio negli anni relativi al mancato pagamento dell’IVA oggetto di contestazione), con conseguente subentro di una nuova società e abbandono “alla deriva del fallimento dei pregressi crediti”, avevano determinato – come riconosciuto dalla stessa Corte territoriale – il manc:ato pagamento dei crediti vantati, oltre che una crisi delle commesse. La difesa richiama altresì la produzione documentale comprovante l’attivarsi della S. con azioni legali per il recupero dei crediti, che “avevano trovato sbarramento” nel fallimento dell’ILVA. Tutto ciò, ad avviso della difesa ricorrente, consentiva di escludere profili di rilievo penale nella condotta del G., che si era attivato nell’unico modo possibile (ovvero proponendo azioni legali), e certo non avrebbe potuto provvedere al pagamento delle ingenti somme con il proprio patrimonio personale. Quanto poi alla scelta del ricorrente di provvedere al pagamento degli stipendi, ricorrendo allo sconto bancario delle fatture, la difesa evidenzia che la mancata corresponsione avrebbe causato un ostacolo ai lavori in corso all’interno dell’ILVA (irregolarità del DURC e conseguente incompatibilità con ogni lavoro dell’indotto ILVA) …”.

Il procuratore generale si oppone al ricorso ma la Cassazione fornisce una chiara indicazione che il ricorso è fondato e quindi procede ad annullare con rinvio.

La Corte di Cassazione inizia affermando che “… com’è noto, la consolidata elaborazione giurisprudenziale in tema di omesso versamento dell’IVA appare improntata a particolare rigore nella valutazione della condotta omissiva e, conseguentemente, nella individuazione di possibili situazioni idonee ad escludere la colpevolezza dell’agente. Basti qui richiamare, a titolo esemplificativo, Sez. 3, n. 38594 del 23/01/2018, M., Rv. 273958 – 01, secondo la quale «in tema di reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, l’emissione della fattura, se antecedente al pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all’obbligo di versare comunque la relativa imposta sicché egli non può dedurre il mancato pagamento della fattura né lo sconto bancario della fattura quale causa di forza maggiore o di mancanza dell’elemento soggettivo». V. anche Sez. 3, n. 6506 del 24/09/2019, dep. 2020, M,, Rv. 278909 – 01, secondo la quale «in tema di reati tributari, l’omesso versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale dei propri clienti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, atteso che l’obbligo del predetto versamento prescinde dall’effettiva riscossione delle relative somme e che il mancato adempimento del debitore è riconducibile all’ordinario rischio di impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi» …”.

Stabilito che in ogni caso “non si scherza” sui versamenti IVA la stessa Cassazione fa notare che “… alcune significative pronunce di questa Suprema Corte hanno, in una qualche misura, temperato tale rigore interpretativo: si è in particolare affermato che «in tema di rea1:i tributari, l’omesso versamento dell’IVA dipeso dal mancato incasso di crediti non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall’art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, trattandosi di inadempimento riconducibile all’ordinario rischio di impresa, sempre che tali insoluti siano contenuti entro una percentuale da ritenersi fisiologica» (Sez. 3, n. 31352 del 05/05/2021, B., Rv. 282237 – 01, la quale, in applicazione del principio, ha annullato con rinvio la sentenza di condanna, riguardante insoluti per circa il 43% del fatturato, cui era seguita una gravissima crisi di liquidità). Tale decisione è stata esplicitamente richiamata, in senso adesivo, da Sez. 3, n. 19651 del 24/2/2022, S,, la quale ha posto l’accento sulla necessità di tenere adeguato conto delle deduzioni difensive volte a comprovare una concreta impossibilità di far fronte agli obblighi di versamento, per la situazione di crisi dell’impresa determinata da ingenti inadempimenti dei clienti, le modalità e le tempistiche del ricorso al credito da parte del soggetto agente, ecc. (cfr. il § 2 della sentenza. In precedenza, per un’apertura in ordine al rilievo da conferire alla crisi di liquidità determinata dal mancato pagamento delle fatture emesse, v. Sez. 3, n. 29873 del 01/12/2017, dep. 2018, C., Rv. 273690 – 01) …”.

La Corte di Cassazione procede affermando che i principi della decisione citata debbono essere riaffermati anche nel caso di specie e quindi indica che “… ritiene il Collegio che le linee argomentative tracciate dalla Corte d’Appello non siano in linea con i principi enunciati dalla sentenza B. e dalle altre pronunce richiamate. Appare anzitutto non agevolmente comprensibile la portata del già richiamato “sebbene possa comprendersi quali siano state le cause della presunta crisi di liquidità” (pag. 4): non essendo chiaro, in particolare, se, per esternare tale “ comprensione , si sia attinto al notorio (essendo in tale ambito certamente annoverabile la situazione di crisi dell’ILVA), ovvero alle risultanze processuali poste a sostegno della linea difensiva ed acquisite agli atti (deposizione della teste D., documentazione relativa all’ammissione al passivo)…”.

Fatta questa precisa considerazione la Cassazione indica che “… in ogni caso, appare manifestamente illogica, alla luce delle produzioni documentali effettuate dalla difesa, l’affermazione circa l’impossibilità di stabilire se la prospettata situazione di crisi “avesse determinato il mancato pagamento dei crediti oppure una crisi delle commesse” (pag. 5, cit.): affermazione che presta il fianco al rilievo difensivo per cui “si può pacificamente soddisfare la richiesta, ritenendo che entrambe le cause hanno concorso a svuotare le casse della società amministrata dal ricorrente (pag. 3 del ricorso). Allo stesso modo, le considerazioni svolte in ordine al mancato apprestamento di adeguati rimedi alla situazione critica non sembrano aver tenuto conto sia della specifica e del tutto peculiare situazione della S., anche quanto alla ingentissima entità degli inadempimenti dell’unica committente, sia comunque della documentazione prodotta sin dal giudizio di primo grado. Anche il rilievo concernente la scelta del ricorrente di corrispondere le retribuzioni (peraltro ricorrendo allo sconto bancario delle fatture) e di mantenersi in regola con gli obblighi contributivi, non appare essersi confrontata con la questione, già dedotta con l’atto di appello e ripresa poi nell’odierno ricorso, relativa al fatto che una diversa linea di condotta ”avrebbe rappresentato un ostacolo proprio ai lavori in corso all’interno dell’ILVA, in quanto avrebbe comportato una irregolarità nel DURC che sarebbe gravato sulla società rendendola incompatibile con qualunque lavoro da effettuarsi all’interno dell’indotto ILVA” (cfr. pag. 4 del ricorso)…”.

La conclusione a questo punto appare una conseguenza logica (e diremmo anche ovvia) delle critiche mosse e quindi i giudici concludono asserendo che “… la sentenza impugnata non fornisce risposte adeguate alle deduzioni difensive concernenti la concreta impossibilità di far fronte ai versamenti dovuti. Ed è appena il caso di osservare, in linea generale e conclusivamente, che la necessità di attribuire il massimo rilievo alle problematiche evocate dal ricorso del G. trova ormai un importante riscontro nel diritto positivo: il recentissimo d.lgs. n. 87 del 14/06/2024, intervenendo sull’art. 13 d.lgs. n. 74 del 2000, ha introdotto (con il nuovo comma 3-bis) una ulteriore causa di non punibilità per i reati di cui agli artt. 10-bis e 10ter del medesimo decreto, “se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esìgibili da parte di amministrazioni pubbliche e della non esperibílità di azioni idonee al superamento della crisi”…”.

Si tratta di una sentenza che appare giusta a chi formula il presente commento considerato che chiunque si trovi ad affrontare una situazione in cui l’assenza di liquidità non dipende da una volontà propria, come è una dissipazione delle disponibilità, deve operare delle decisioni che spesso sono qualificate come “alternativa del diavolo” ovvero decisioni che in ogni caso faranno emergere dei problemi qualsiasi scelta venga operata.

Nel caso di specie l’imprenditore non ha scelto l’interesse personale ma ha fatto una scelta verso i lavoratori e verso i contributi al fine di poter operare e quindi incassare e di conseguenza mi pare corretto formulare una considerazione in merito alla totale assenza dell’elemento soggettivo del reato.

 
Fonte: Il Sole 24ORE

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