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Viola la 231 il negozio di moda non in linea con la sicurezza lavoro

L’ente non paga per il reato di lesioni contesto all’Ad se la dipendente inciampa

La società multinazionale della moda è responsabile per il reato di lesioni, commesso dal presidente del board, se un’impiegata cade in uno show room inciampando su un carrello per gli abiti. All’ente viene, infatti, contestato il risparmio di spesa che sta nel non aver previsto locali più ampi o una diversa organizzazione dell’attività. La Corte di Cassazione, con la sentenza 30813 depositata ieri, respinge il ricorso della compagine alla quale fa capo un noto brand italiano, con oltre 1200 dipendenti nel mondo e 62 punti vendita in Italia. Numeri sui quali aveva puntato la difesa per escludere la responsabilità del presidente del Cda su quanto era accaduto in un negozio fiorentino, perché non si poteva pretendere, da parte dell’Ad, una vigilanza continua sui dipendenti, in considerazione della complessa organizzazione.

Per la Suprema corte però le dimensioni dell’impresa non bastano a fronte del ruolo di datore di lavoro del vertice, per il quale comunque il reato di lesioni contestato è prescritto. Prescrizione che non si estende però alla responsabilità dell’ente che viene confermata, secondo quanto previsto dal Dlgs 231/2011. La Suprema corte, preso atto dell’assenza di un interesse esclusivo, del soggetto apicale, fa riferimento al vantaggio di spesa per la Spa legato alla mancata predisposizione di un ambiente più grande. E in linea con il testo unico sulla sicurezza lavoro, secondo il quale i pavimenti e i passaggi degli ambienti di lavoro devono essere liberi da materiali che ostacolano la normale circolazione.

Nè è utile alla società chiarire che l’utilizzo dei carrelli porta abiti, sui quali aveva inciampato la store manager, non solo non dipendeva da una scelta aziendale, ma era esplicitamente proibito dalle disposizioni in materia di sicurezza aziendale.

I giudici valorizzano invece la dinamica dell’incidente, che era avvenuto a causa di uno spazio non proporzionato alle esigenze. La dipendente amministrativa – che si era alzata per aiutare una commessa impegnata nella ricerca di un capo per una cliente – aveva trovato nel suo percorso un carrello di metallo con degli abiti appesi.

Senza successo l’Ad parla di evento sfortunato, mentre i giudici, già nella fase di merito, avevano contestato la «possibilità di gestire un volume di affari eccessivo rispetto alle esigenze di sicurezza dei lavoratori».

Per la Corte la messa in sicurezza aveva due vie: un magazzino per le merci o un locale più grande.

Non passa neppure la censura relativa alla sanzione di circa 103mila euro, irrogata in base al Dlgs 231/2011 (articolo 12) considerata eccessiva per un «evento sfortunato».

Entità che la Suprema corte conferma tenendo conto della gravità del fatto, come evidenziato dalla Corte territoriale «in rapporto alle riscontrate violazioni della normativa anti-infortunistica». Compresa la mancata formazione delle dipendenti che ad avviso del datore, non sarebbe comunque servita nello specifico ad evitare che l’impiegata inciampasse. Ma la Cassazione è meno fatalista.

 
Fonte: Il Sole 24ORE

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