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Società all’estero, la sede dell’attività amministrativa e gestoria decide la residenza fiscale

La Cassazione torna sul tema dell’esterovestizione, contestando l’operato dell’Agenzia che ha preso in esame il solo dato della localizzazione territoriale dei beni

Con la sentenza n. 17289 del 24 giugno 2024, la Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema della esterovestizione – termine con cui si intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero – contestando l’operato dell’agenzia delle Entrate sul presupposto che quest’ultima ha fondato la propria decisione circa l’individuazione della sede amministrativa «sul solo dato della localizzazione territoriale dei beni, sminuendo, se non proprio neutralizzando del tutto, l’efficacia dimostrativa di un’attività direttiva, di natura amministrativa (ivi compresa quella fiscale e finanziaria) e gestoria asseritamente svolta nel predetto Stato estero, ove risiedevano gli amministratori e dove venivano convocate e si svolgevano le assemblee».

In particolare, secondo la Cassazione, «la nozione di “sede dell’amministrazione”, contrapposta alla “sede legale”, coincide con quella di “sede effettiva”(di matrice civilistica), intesa come luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative e di direzione dell’ente e dove si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente».

La questione sotto esame

La controversia oggetto della sentenza scaturisce da un avviso di liquidazione, emesso dall’agenzia delle Entrate nei confronti di una società con sede in Lussemburgo, con cui veniva richiesta l’imposta di registro in misura proporzionale ad un atto di conferimento di immobili (ubicati in Italia) finalizzato all’aumento di capitale sociale della società estera, in luogo dell’imposta di registro in misura fissa applicato dalla contribuente.

L’art. 4, parte I nota IV della tariffa allegata al Dpr 131/86 (1), prevede infatti che a tali atti si applichi l’imposta di registro in misura fissa a condizione che la società destinataria del conferimento abbia la sede legale o amministrativa in altro Stato membro dell’Unione europea.

L’Agenzia, di avviso contrario, non ha ritenuto soddisfatto il requisito della residenza estera della società conferitaria sulla base del fatto che «l’oggetto principale dell’attività e la sede della direzione effettiva della stessa sono in realtà situati in Italia, e di conseguenza ha richiesto l’ordinaria imposta di registro in misura proporzionale».

Sia in primo che in secondo grado le Commissioni tributarie hanno confermato la posizione dell’ufficio. In particolare, la Ctr Lombardia, ha ritenuto che la direzione effettiva della società fosse localizzata in Italia, in quanto ivi erano localizzati gli immobili oggetto di conferimento.

Il giudice regionale ha reputato che nessuno dei documenti prodotti dalla società fosse idoneo a dimostrarne l’effettiva collocazione in Lussemburgo, negando a tal fine efficacia dimostrativa alla documentazione bancaria, alla corrispondenza con l’ufficio delle imposte lussemburghese, ai bollettini di pagamento delle imposte pagate all’estero, al contratto di affitto dell’immobile in cui la società ha stabilito la propria sede, alla residenza in Lussemburgo degli amministratori e alla circostanza che le assemblee si sono svolte nella sede lussemburghese.

Con la sentenza in commento, invece, la Cassazione ha censurato l’operato dei giudici di merito, attribuendo rilevanza, ai fini dell’individuazione della residenza della società ricorrente, al luogo in cui si svolge l’attività direttiva e gestoria, indipendentemente dal fatto che il patrimonio della società sia costituito da immobili ubicati in Italia.

L’orientamento della Cassazione

La sentenza n.17289 si inserisce nel solco già tracciato dalla Suprema corte in materia di esterovestizione (anche ai fini dell’imposta di registro), confermando il principio di diritto secondo cui la sede dell’amministrazione è la sede effettiva della società, vale a dire «il luogo dove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente».

L’orientamento appena descritto (Cassazione, 16 giugno 1984, n. 3604, 4 ottobre 1988, n. 5359, 18 gennaio 1997, n. 497, 13 aprile 2004, n.7037, 12 marzo 2009, n. 6021, 28 gennaio 2014, n. 1813), tradizionalmente affrontato in relazione alle imposte dirette, si conferma dunque valido anche ai fini del registro, potendosi dunque fare valere anche in tale ambito – dove la norma sinteticamente parla di “sede amministrativa”- i principi delineati dalla giurisprudenza della Cassazione sui criteri di individuazione della residenza delle società e degli enti.

La significatività della sentenza in commento è rappresentata dalla conferma che anche le società immobiliari il cui patrimonio è localizzato nel territorio nazionale, possono superare la riconducibilità della residenza nel luogo ove sono ubicati gli immobili, dimostrando che la sede effettiva dell’attività, vale a dire il luogo dove vengono assunte le decisioni di direzione e gestione, è localizzata in uno stato estero.

Ai fini della residenza, viene quindi a profilarsi un concetto di “sede dell’attività” che non è il luogo dove si produce il reddito, ma il luogo dove vengono svolte le attività di direzione strategica e di gestione ordinaria, ivi compresa quella finanziaria e fiscale.

Non esiste infatti alcuna presunzione assoluta secondo cui il luogo di gestione e direzione debbano coincidere con quello di produzione del reddito (Cass. n. 26728/2015).

Sulla base di tali considerazioni, la Suprema corte, con la pronuncia in commento, ha cassato la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, affinché i giudici di merito rivalutino «l’efficacia dimostrativa di un’attività direttiva, di natura amministrativa (ivi compresa quella fiscale e finanziaria) e gestoria asseritamente svolta nel predetto Stato estero, ove risiedevano gli amministratori e dove venivano convocate e si svolgevano le assemblee».

L’allineamento con il nuovo concetto di residenza

Il contenuto della sentenza n. 17289 risulta perfettamente in linea con l’attuale testo dell’art. 73 comma 3 del Tuir, nella nuova formulazione introdotta dal Dlgs 209, 27 dicembre 2023, dove è stato eliminato il criterio dell’oggetto principale ed è stato sostituito con quello della «gestione ordinaria in via principale».

Con la nuova formulazione, si considerano infatti residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale.

Per sede di direzione effettiva si intende la «continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso».

Per gestione ordinaria si intende «il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso».

Il concetto di sede di direzione effettiva, ovvero il luogo dove sono assunte le decisioni strategiche, richiama il precedente criterio della sede dell’amministrazione; il criterio della gestione ordinaria in via principale (che ha sostituito l’oggetto principale dell’attività), è collegato invece al concetto dell’effettivo radicamento dell’ente nel territorio dove si realizzano gli atti della gestione ordinaria e corrente: assumono pertanto rilevanza elementi fattuali quali il luogo dove si svolgono le riunioni e le assemblee, dove è aperto il conto corrente, dove sono tenute le scritture contabili, dove si pagano le imposte, dove sono residenti gli amministratori, l’eventuale presenza di contratti di affitto dell’immobile dove è stabilita la sede della società.

In conclusione, si può affermare che, in relazione ai criteri di individuazione della residenza, l’orientamento espresso dalla Cassazione, volto a valorizzare il luogo ove vengono assunte le decisioni aziendali, risulta perfettamente coerente ed allineato alla nuova formulazione dell’art. 73 comma 3 del Tuir a sua volta frutto del recepimento nell’ordinamento italiano del criterio di localizzazione della residenza adottato dalla totalità delle convenzioni contro le doppie imposizioni firmate dall’Italia.

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(1) IV) Gli atti di cui alla lettera a) [costituzione e aumento del capitale o patrimonio] sono soggetti all’imposta nella misura fissa di lire 250.000 se la società destinataria del conferimento ha la sede legale o amministrativa in altro Stato membro dell’Unione europea.

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Fonte: Il Sole 24ORE

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