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Niente delega ai dipendenti per l’uso della firma elettronica

Soltanto i modelli digitali avanzati e qualificati hanno piena efficacia probatoria e valore legale ma il titolare è l’unico autorizzato ad utilizzarli ed è responsabile dei controlli di validità dei certificati

Nel panorama professionale in rapida evoluzione digitale, la firma elettronica si afferma come strumento chiave per la modernizzazione degli studi professionali. Accelerata dalle esigenze emerse durante la pandemia, sta ridefinendo l’interazione tra professionisti e clienti, rivoluzionando la stipula di contratti e la gestione documentale. Oggi, rappresenta un elemento fondamentale nella trasformazione digitale, offrendo significativi vantaggi in termini di efficienza, costi e, soprattutto, sicurezza delle transazioni.

In Italia, il Codice dell’amministrazione digitale (Cad) definisce quattro tipologie di firma elettronica:

– firma elettronica semplice: si tratta della forma base, che può essere semplicemente un nome digitato in un form di iscrizione ad una newsletter. Non è protetta da un certificato e non è collegata a un’identità verificata;

– firma elettronica avanzata (Fea): garantisce l’integrità e l’autenticità del documento sottoscritto. La sua creazione necessita di strumenti sui quali il firmatario mantiene un controllo esclusivo (ad esempio la firma grafometrica su un tablet);

– firma elettronica qualificata (Feq): firma elettronica avanzata basata su un certificato e realizzata mediante un dispositivo sicuro (smart card) per la generazione della firma;

– firma digitale: firma elettronica avanzata basata su un certificato qualificato e su un sistema con due chiavi crittografiche, una pubblica – contenuta nel certificato qualificato, e una privata – detenuta dal mittente, che nel loro uso congiunto vanno a garantire e verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico. La firma digitale, di fatto, è una forma avanzata di Feq, prevista dalla legge italiana (ma non contemplata a livello europeo).

Queste quattro tipologie sono differenziate per esigenze di sicurezza e di efficacia probatoria, e classificate in due macro-tipologie: le firme deboli (semplici) e forti (avanzate), dove la differenza sostanziale verte sull’efficacia probatoria delle stesse.

Mentre la firma elettronica semplice offre garanzie limitate (e rimane liberamente valutabile in giudizio), Fea, Feq e firma digitale garantiscono piena autenticità e valore legale, equiparandosi alla firma autografa. Secondo l’articolo 2702 del Codice civile, i documenti con queste firme formano piena prova della provenienza delle dichiarazioni, fino a querela di falso, conferendo loro il medesimo valore probatorio delle scritture private.

Tuttavia, nell’utilizzo delle firme elettroniche è fondamentale adottare in studio misure di sicurezza che ne assicurino la correttezza di utilizzo: il titolare deve essere l’unico ad utilizzare personalmente il dispositivo di firma, come previsto dall’articolo 32 Cad, ed è pertanto vietato delegare l’uso della firma elettronica ai dipendenti o collaboratori (prassi peraltro non infrequente). È inoltre onere del titolare verificare che il certificato su cui si basa la firma elettronica non sia revocato, scaduto o sospeso. La violazione di queste norme può comportare responsabilità civili e penali per il titolare, inclusa la possibile invalidazione dei documenti firmati.

Guardando al futuro, l’integrazione con tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale e la blockchain promette soluzioni ancora più sicure ed efficienti, con l’Ia potenzialmente impiegata per rilevare utilizzi fraudolenti e la blockchain per fornire registri immutabili dei processi di firma.

 
Fonte: Il Sole 24ORE

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