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L’accertamento della violazione del principio DNSH costituisce un’attività di tipo discrezionale

Nota a Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 4189 del 09/05/2024

I fatti di causa

Il Ministero dell’Ambiente e Sicurezza Energetica revocava il finanziamento, inizialmente riconosciuto ad una società, per la realizzazione delle opere di ammodernamento e ampliamento dell’impianto centralizzato di trattamento dei fanghi nell’ambito delle misure PNRR.

La revoca interveniva in quanto risultava mancante il “requisito di ammissibilità del finanziamento, previsto all’art. 6, comma 1 lett. d), vale a dire l’assenza di violazioni “al principio DNSH sancito dall’articolo 17 del regolamento (UE) 2020/852 di “non arrecare un danno significativo contro l’ambiente” nonché sulla falsa dichiarazione imputabile alla società che, in sede di presentazione della domanda, aveva attestato il possesso di tale requisito.

Avverso tale provvedimento la società adiva il Tar, che accoglieva il ricorso.

Alla luce di ciò il Ministero proponeva appello affermando che il provvedimento di revoca risultava fondato sulle risultanze dell’attività di indagine posta in essere dalla Guardia di Finanza le quali avrebbero fatto emergere una serie di violazioni in materia ambientale “tali da inficiare uno dei requisiti di ammissibilità necessari per accedere al finanziamento de quo”.

Valenza probatoria delle indagini preliminari

A detta del Consiglio di Stato il Ministero avrebbe dovuto attivare dei propri accertamenti in merito al corretto rispetto del principio del DNSH non potendosi unicamente basare sulle risultanze di un’attività espletata da altri nell’ambito delle “indagini preliminari”.

In assenza di specifiche previsioni di settore, il Collegio opera una ricostruzione della fattispecie ricorrendo all’analogia legis sulla base di quanto previsto in materia di appalti sui requisiti di ammissione e valutazione delle gravità degli illeciti professionali.

Difatti, l’art. 98 del d.lgs. 36/2023 comma 3 lettera g) esclude la rilevanza delle mere indagini preliminari in corso, richiedendo espressamente – al fine di determinare l’esclusione dell’impresa – l’adozione di provvedimenti giudiziari sorretti da un attendibile grado di riscontro probatorio ( in particolare: “gli atti di cui all’articolo 407-bis, comma 1, del codice di procedura penale, il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 429 del codice di procedura penale, o eventuali provvedimenti cautelari reali o personali emessi dal giudice penale, la sentenza di condanna non definitiva […]”).

A detta del Collegio, pertanto, “la mera pendenza dell’indagine non può, infatti, di per sé sola giustificare la definitiva revoca del finanziamento, anche in un contesto in cui i tempi di realizzazione degli interventi PNRR non consentono di attendere la conclusione delle indagini”.

Da ciò ne discende che l’Amministrazione, per poter correttamente intervenire con il proprio potere di autotutela, avrebbe dovuto compiere una propria attività istruttoria valorizzando ed esaminando le segnalazioni giunte.

Attività discrezionale nella revoca del finanziamento

Nel caso di specie il provvedimento del Ministero è stato censurato per violazione delle garanzie partecipative, atteso che lo stesso non è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.

Ad avviso del Ministero, la scelta dell’Amministrazione di non procedere all’attivazione del contraddittorio troverebbe idonea giustificazione nelle necessità di adottare, con la massima urgenzal’impugnato provvedimento al fine di evitare le pregiudizievoli conseguenze rappresentate, nonché nella impossibilità di acquisire, in un eventuale scambio in contraddittorio con l’impresa, elementi conoscitivi ulteriori determinanti per la decisione.

L’argomentazione difensiva non convince il Consiglio di Stato il quale osserva che “il rispetto delle regole partecipative contenute nella legge n. 241/1990 e della ratio che le connota, impone che la comunicazione di avvio del procedimento venga effettuata in tempo e con modalità tali da consentire la partecipazione efficace dei soggetti interessati al processo decisionale destinato a sfociare nella determinazione finale potenzialmente lesiva”.

Peraltro, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, l’accertamento della violazione del principio DSNH costituisce una attività di tipo discrezionale.

Tale carattere si rinviene dalla lettera dell’art. 17 del Regolamento 2020/852/UE il quale nel definire il danno significativo agli obiettivi ambientali ne regola contenuti e modalità di valutazione.

Così ricostruita la natura dell’attività amministrativa sottesa alla fattispecie in esame il Collegio prosegue confrontandola con i principi stabiliti dalla l. 241/1990 in materia.

In caso di valutazioni di natura discrezionale l’art. 21-octies della l. n. 241/1990 prescrive che la mancanza della comunicazione dell’avvio del procedimento può costituire causa autonoma di illegittimità ed annullabilità di un provvedimento amministrativo, salvo che l’amministrazione non fornisca in giudizio la prova che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Sul punto la giurisprudenza ha chiarito che sebbene l’art. 21 octies, comma 2, 1. n. 241 del 1990, sembrerebbe, prima facie, porre l’onere di dimostrare in capo all’amministrazione, bisogna necessariamente interpretare diversamente tale disposizione, in quanto, tale onere si sostanzierebbe in una sorta di probatio diabolica .

Difatti, l’Amministrazione dovrebbe dimostrare che ogni eventuale contributo partecipativo del privato non avrebbe mutato l’esito del procedimento.

Dunque, la norma opera implicitamente una scissione di oneri: uno in capo al privato e una in capo all’Amministrazione.

Sul privato incombe l’onere di “allegazione ovvero quello di precisare e indicare gli eventuali elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione.

Solo dopo che il ricorrente ha adempiuto questo onere di allegazione, la “ P.A. sarà gravata del ben più consistente onere di dimostrare che anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato ” .

Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, il Collegio rileva che a fronte delle ferme contestazioni delle risultanze istruttorie formulate dalla società, il Ministero non ha fornito nelle proprie difese alcuna specificazione sul punto né argomenti idonei a giustificare la scelta adottata e, pertanto, l’appello è stato rigettato.

 
Fonte: Il Sole 24ORE

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