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Per contestare l’esterovestizione va verificato l’effettivo trasferimento

La Cgt Toscana ricorda che è irrilevante accertare la sussistenza di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale

L’intento elusivo non costituisce presupposto necessario per la contestazione di cosiddetta esterovestizione. Quest’ultima va, invece, ricondotta alla disciplina giuridica della residenza fiscale ex articolo 73, comma 3 del Testo unico delle imposte sui redditi. Sono queste le conclusioni raggiunte dai giudici di merito della Cgt Toscana nella sentenza n. 178/5/2024 (presidente Turco, relatore Iannone) i quali, conformandosi ai recenti pronunciamenti della giurisprudenza di legittimità, avrebbero ricordato come in materia di esterovestizione non sia «necessario accertare la sussistenza di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma, invece, (…) verificare se il trasferimento» vi sia effettivamente stato o meno.

La sentenza è di notevole interesse per due motivi. Innanzitutto poiché ribadisce l’irrilevanza dell’elemento elusivo ai fini di una contestazione di esterovestizione, prendendo così le distanze da quel filone della giurisprudenza di legittimità che in passato – anche attraverso richiami a precedenti giurisprudenziali della Corte di giustizia dell’Unione europea (in particolare, si veda, la sentenza dei giudici Lussemburghesi nella causa C-196/04, Cadbury Schweppes) aveva inquadrato il fenomeno di cui si discute all’interno delle fattispecie di abuso del diritto.

I nuovi criteri

In secondo luogo poiché ci offre l’opportunità di svolgere, ancorché in sintesi, un veloce excursus sui nuovi criteri della residenza fiscale delle società e di come questi si integrino con il fenomeno dell’esterovestizione.

Sappiamo, infatti, che dal 2024 i criteri di determinazione della residenza fiscale delle società sono mutati. Il nuovo articolo 73, comma 3 del Tuir presenta, infatti, oltre al “preesistente” criterio della sede legale i nuovi criteri della sede di direzione effettiva e della gestione ordinaria in via principale.

Il criterio della sede di direzione effettiva – il quale dovrebbe assicurare un concreto ed effettivo allineamento con il criterio di derivazione pattizia, del place of effective management – è stato definito come il luogo in cui, in via coordinata e continua, si assumono le «decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso». Trattasi, dunque, di criterio il quale dovrebbe (auspicabilmente) valorizzare solo ed esclusivamente il luogo da cui promanano gli impulsi gestori della cosiddetta alta amministrazione.

Il diverso criterio del luogo di gestione ordinaria in via principale è da ritenere debba coincidere, invece, con il luogo del cosiddetto day to day management. Trattasi, in estrema sintesi, del luogo in cui si svolgono le principali attività di gestione operativa dell’ente nel suo complesso (formulazione questa molto chiara anche per distinguere le ipotesi di presenza di una stabile organizzazione configurabile invece, ad esempio, nel caso di presenza in Italia di un ramo d’azienda).

I nuovi criteri di collegamento della residenza fiscale delle società, così come definiti nel nuovo articolo 73, comma 3 del Tuir sono da salutare con assoluto favore poiché dovrebbero impedire tutte quelle interpretazioni estensive del concetto di residenza fiscale, consentendo quindi di perseguire solo ed esclusivamente i reali fittizi trasferimenti di residenza all’estero.

È verosimile ritenere che le future contestazioni di esterovestizione si baseranno sul criterio della direzione effettiva lasciando al criterio della «gestione ordinaria in via principale» un ruolo marginale invocabile, come chiarito (anche) nella relazione illustrativa, «nei casi in cui vi è un effettivo radicamento della persona giuridica sul territorio, ma sorgono incertezze interpretative in merito al luogo di direzione effettiva».

Fonte: Il Sole 24ORE

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