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Transfer pricing alla prova dello sconto commerciale

Nel mirino la congruità dei prezzi di vendita di beni praticati dalla società controllante straniera alla partecipata italiana

Lo sconto commerciale si differenzia dallo sconto finanziario in quanto solo quest’ultimo è applicato dopo l’emissione della fattura. Laddove quindi lo sconto sia indicato in fattura, nonché la relativa natura commerciale sia prevista contrattualmente, l’Ufficio non può rettificare la benchmark analysis eliminando tale scontistica sul presupposto della natura di «sconto finanziario» e facendo così risultare la società monitorata al di fuori del “range” dei soggetti comparabili.

Questa è la conclusione che si trae dall’interessante sentenza n. 3546/23 (presidente De Ruggero, relatore Gatti) della Cgt di secondo grado della Lombardia.

La vicenda

La vicenda trae origine da una verifica fiscale nella quale l’Ufficio ha contestato la congruità dei prezzi di vendita di beni praticati dalla società controllante straniera alla partecipata italiana. Tra i vari rilievi, vi è quello sullo sconto commerciale praticato dalla controllante sui prodotti forniti alla società ricorrente, che l’agenzia delle Entrate sostiene avere natura di sconto finanziario.

L’Ufficio, partendo dalla documentazione nazionale prodotta dalla ricorrente ha ritenuto di annullare l’«effetto sconto» che aveva contribuito a calmierare il prezzo dei beni che la società italiana aveva acquistato dalla holding straniera. Detto obiettivo è stato raggiunto rettificando il campione delle società comparabili ed identificando un nuovo (più alto) valore mediano di riferimento. Modificando “al rialzo” il benchmark di riferimento, la società ricorrente è risultata avere un margine operativo inferiore a quello delle società comparate.

La motivazione alla base di tale rettifica risiede, come anticipato, nella considerazione che tali sconti non abbiano natura commerciale, ma siano legati alle modalità finanziarie di pagamento, da considerarsi quindi alla stregua di scontistica finanziaria e conseguentemente da “annullare” – secondo il percorso logico seguito dall’Ufficio – al fine di rendere una perfetta comparabilità nell’ambito della benchmark analysis.

La sentenza

Al riguardo, i giudici lombardi rilevano innanzi tutto che, dall’analisi dei contratti prodotti in giudizio, risultano sussistere clausole separate per i termini di pagamento («advance payment credit») rispetto agli sconti commerciali («trade discount»).

Inoltre – continuano i giudici – lo sconto finanziario è quello applicato dopo l’emissione della fattura, ovvero nella fase di liquidazione della somma dovuta, mentre lo sconto commerciale è quello stabilito contrattualmente e portato in detrazione in fattura (come, pare evincersi, sia avvenuto nel caso trattato), indipendentemente dal fatto che lo stesso trovi la sua ragione nella quantità di merce venduta piuttosto che nei tempi concordati per il pagamento.

Ma soprattutto, ciò che conta è che gli sconti in questione (proprio perché riportati «in fattura») abbiano ridotto direttamente la base imponibile Iva in capo alla società italiana, entrando nei componenti di reddito e concorrendo alla determinazione della base imponibile ai fini delle imposte dirette. Base imponibile della società italiana che risulta quindi incrementata rispetto al caso in cui detti sconti non fossero stati concessi.

Infine, la Commissione ricorda che lo stesso articolo 9 del Tuir, richiamato dall’articolo 110, comma 7 (nel testo pro-tempore vigente), nel fissare i principi cardine per l’individuazione del valore normale, stabilisce che occorre tenere conto degli sconti d’uso, senza eccezioni di sorta.

 
Fonte: Il Sole 24ORE

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