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False esportazioni, nove mosse per evitare il coinvolgimento nella frode Iva

I controlli formali non sono sufficienti: sono necessarie verifiche di natura sostanziale per provare la buona fede

Al termine di un’attività di controllo svolta nei confronti del fornitore del falso esportatore abituale, non è raro che l’amministrazione finanziaria contesti la conoscenza/conoscibilità della frode, recuperando l’Iva non versata.

Al riguardo, per prassi e giurisprudenza costante nel nostro ordinamento, sembrano non essere sufficienti i controlli di natura formale sulla dichiarazione d’intenti operati dal fornitore. Dunque, sebbene la norma sanzionatoria dell’articolo 7, comma 4-bis, del Dlgs 471/1997 preveda che una sanzione dal 100 al 200% dell’imposta nell’ipotesi in cui il fornitore dell’esportatore abituale fatturi senza imposta, senza aver prima effettuato i controlli sulla presentazione telematica della dichiarazione d’intenti, nell’ipotesi in cui è contestata la conoscenza/conoscibilità della frode tali verifiche non bastano. Sulla scia di un consolidato orientamento della Suprema corte (ex multis si vedano Cassazione 3306/20221988/201919896/2016, eccetera), le Entrate richiedono al fornitore dell’esportatore abituale delle verifiche di natura sostanziale, idonee a provare la sua buona fede. Pur preso atto che trattasi di una vera e propria inversione dell’onere della prova sul contribuente, in via cautelativa, ovvero per proteggersi dal rischio di coinvolgimento nella frode perpetrata dal proprio cliente, è opportuno che il fornitore, prima di procedere a fatturare senza Iva, verifichi la sussistenza delle condizioni di esportatore abituale in capo alla controparte. Quali sono le verifiche da fare, però, l’interpretazione ufficiale non lo dice.

La dottrina più attenta ritiene possano considerarsi sufficienti le seguenti attività:

1. verificare la validità della partita Iva dell’esportatore abituale e lo stato di attività sul sito internet delle Entrate;

2. consultare una visura camerale dell’esportatore abituale al fine di accertarne la data di inizio attività e il relativo codice;

3. acquisire informazioni dai dati di bilancio;

4. verificare il ruolo aziendale ricoperto dal soggetto che si interfaccia con il fornitore, e che esso non muti continuamente;

5. consultare il sito web dell’esportatore abituale e accertarsi che le e-mail provengano da un account aziendale e non generico;

6. controllare l’iscrizione al Vies;

7. analizzare eventuali anomalie operative, commerciali o strutturali del cliente (si pensi a una newco o a società in precedenza non operative);

8. se possibile, verificare l’ultima dichiarazione Iva presentata e richiedere certificato di regolarità fiscale (carichi pendenti);

9. è, altresì, opportuno che il fornitore adotti ulteriori cautele, che di norma dovrebbero sempre esser praticate. Per citarne alcune, sempre a mero titolo esemplificativo: utilizzo di contratti scritti di fornitura; utilizzo di strumenti di pagamento tracciabili e regolarità dei pagamenti; conservazione di documentazione idonea a dimostrare la consegna dei prodotti all’estero o in Italia (presso il cessionario e non anche presso i suoi clienti).

Fonte: Il Sole 24ORE

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